Allevamenti, Greenpeace: in 10 anni gas serra in aumento come se circolassero 8,4 milioni di auto in più

Uno studio conferma l’impatto sul clima della zootecnia e come il passaggio a un’alimentazione vegetale sia uno strumento di mitigazione climatica fondamentale

Gli allevamenti europei inquinano molto di più di tutte le auto e i furgoni in circolazione nel vecchio Continente. E se non riusciremo a centrare gli obiettivi degli accordi di Parigi per scongiurare un innalzamento della temperatura terrestre dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche la responsabilità sarà, in larga misura, anche loro. Lo sostengono da tempo molte analisi scientifiche, lo dice ora anche l’ultimo report diffuso da Greenpaece “Foraggiare la crisi – In che modo la zootecnia europea alimenta l’emergenza climatica”. Lo studio evidenzia come, tra il 2007 e il 2018, le emissioni annuali di gas serra degli allevamenti siano aumentare del 6%, un aumento equivalente a 39 milioni di tonnellate di CO2 emesse nell’atmosfera (come, cioè, se sulle strade europee circolassero 8,4 milioni di auto in più). Nonostante i progressi tecnologici, è l’analisi, le emissioni continuano a crescere in modo proporzionale all’aumento dei capi allevati.

I numeri

Il sistema degli allevamenti intensivi europei, calcola il report di Greenpeace, “emette l’equivalente di 502 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Includendo le emissioni indirette di gas a effetto serra, che derivano dalla produzione di mangimi, dalla deforestazione e da altri cambiamenti nell’uso del suolo, le emissioni annuali totali attribuibili alla zootecnia europea sono equivalenti a 704 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni annuali di tutte le auto e furgoni circolanti nell’Ue nel 2018“. Greenpaece fa anche i conti al contrario, ovvero calcola quanto calerebbero le emissioni riducendo i consumi, e quindi la produzione, di carne, uova, latte e latticini. Il potenziale di riduzione sarebbe “enorme: una riduzione del 50% del numero di animali allevati – si legge nel report – consentirebbe un risparmio di emissioni dirette di 250,8 milioni di tonnellate di CO2, una cifra paragonabile alle emissioni nazionali annuali di Paesi Bassi e Ungheria messi insieme. Ridurre la produzione del 75% permetterebbe un risparmio di gas serra di 376 milioni di tonnellate di CO2, più delle emissioni nazionali annue combinate di 13 paesi dell’Ue, e circa equivalente all’impatto climatico totale di tutti i processi industriali di tutti i Paesi membri”. E’ per questo, evidenzia Greenpeace, che “non possiamo evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica se a livello politico si continua a difendere a spada tratta la produzione intensiva di carne e latticini”.

L’inevitabile passaggio a un’alimentazione a base vegetale

Greenpeace ritorna quindi su quanto già sostenuto da numerose istituzioni e studi scientifici sul rapporto tra allevamenti e riscaldamento globale. Già lo scorso anno, l’ultimo report dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu, si era espresso sulla necessità di un cambiamento diffuso delle abitudini alimentari verso diete a base prevalentemente vegetale come strumento indispensabile per contenere l’innalzamento della temperatura globale entro i 2°C, come indicato dagli accordi di Parigi. Recentemente anche il British Medical Journal ha pubblicato uno studio dell’Università di Oxford dal quale emerge come, tra le linee guida nutrizionali di diversi Paesi analizzate, ben 83 su 85 andrebbero riviste nel senso di una diminuzione dei consumi di carne a fare dei vegetali, se si vogliono centrare gli obiettivi sul clima di Parigi.

Stesse conclusioni condivise dal report di Greenpeace: “I dati mostrano chiaramente che l’Ue deve ridurre la produzione e il consumo di prodotti di origine animale per combattere in modo efficace i cambiamenti climatici. I decisori politici – scrive l’organizzazione – hanno la possibilità di attuare politiche in grado di spingere il settore a produrre meno e meglio, e i cittadini europei a modificare la loro dieta che, attualmente, vede un consumo di carne e latticini a livelli molto più alti di quelli raccomandati per la salute umana e dell’ambiente”. Tra le proposte avanzate da Greenpeace, lo stop ai sussidi ai sistemi intensivi a favore della transizione verso pratiche più ecologiche, la messa a punto di obiettivi vincolanti per la riduzione del consumo di carne e latticini nell’Ue almeno del 70% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050 e la presentazione di una serie completa di misure per incoraggiare l’adozione di diete più ricche di alimenti di origine vegetale e meno di carne e prodotti lattiero-caseari.

Allevamenti e Covid-19

Greenpeace si sofferma, infine, sul tema della connessione tra il sistema degli allevamenti intensivi e la diffusione di virus pandemici (affrontato anche da noi nel nostro e-book tematico “La connessione. Virus, sfruttamento animale e alimentazione”, che trovate qui). “Agire per un profondo cambiamento della zootecnia europea – ricorda infatti Greenpeace – non solo è necessario per affrontare i cambiamenti climatici, ma anche per prevenire nuove pandemie” dal momento che “l’allevamento intensivo di animali ha un ruolo ben riconosciuto nell’emergere e nella diffusione di infezioni virali simili a Covid-19”.

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