Pubblicità che promuovono la carne: Greenpeace chiede lo stop all’Unione Europea

In attesa che la Commissione divulghi le linee guida per le nuove politiche di promozione dei prodotti europei, ecco la mossa dell’associazione ambientalista

Greenpeace Francia ha condotto un sondaggio in otto paesi europei – inclusa l’Italia – con l’obiettivo di scoprire cosa ne pensano i cittadini dell’UE della produzione intensiva di carne e perché (e se) questa dovrebbe essere tagliata fuori dalle campagne pubblicitarie promosse dalla Commissione Europea. Questo sondaggio arriva in occasione di una nuova proposta che dovrà essere formulata dalla Commissione europea su come promuovere i prodotti europei, anche a fronte del conflitto in Ucraina.

Ue, quanti soldi spesi in campagne pro-carne

Il problema sta negli investimenti cospicui della UE per sovvenzionare campagne di promozione della carne. I casi sono parecchi. Nel novembre 2018 l’Unione europea, per esempio, promosse la campagna “La stellina della carne bovina” finalizzato a divulgare quanto fosse importante e salutare la carne rossa. Il dirigente del ministero delle Politiche agricole, Pietro Gasparri spiegò la scelta commentandola così: “È stata una precisa richiesta del Tavolo zootecnico istituito al ministero, riteniamo prioritario informare il consumatore in modo da metterlo nelle condizioni di fare scelte consapevoli”.
Nel maggio del 2019, invece, un’altra campagna venne dedicata alla carne di vitello (anch’essa carne rossa), celebrata come “tenera, sorprendente e facile. Ancora nel novembre del 2020 i fondi stanziati dalla Unione europea, 3,6 milioni di euro, andarono allo slogan: “Diventa anche tu un beefatariano”. Fu l’Unione stessa a chiarirne gli intenti: “Vogliamo evidenziare i benefici del prodotto e far sentire il consumatore identificato e supportato nella scelta che lo riguarda”.

Eppure l’OMS, nel 2016, inserì la carne rossa e la carne lavorata (salumi, wurstel, carne stagionata o affumicata, etc.) tra gli alementi probabilmente cancerogeni (carne rossa) e certamente cencerogeni (carne lavorata), rispettivamente inserendoli nel Gruppo 2A e 1. I costi per la sanità pubblica a fronte dei danni alla salute correlati al consumo di questi alimenti sono molto alti tanto che alcune ricerche avevano segnalato il reale costo che la carne avrebbe dovuto avere per coprire i danni legati al suo consumo. Oggi Greenpeace chiede lo stop alla promozione della carne con i fondi europei: dopo la passata denuncia alla Commissione e l’approvazione da parte del Parlamento europeo della PAC (2020), che ha rinnovato – nonostante le proteste – i finanziamenti agli allevamenti intensivi per i prossimi sette anni, l’associazione chiede un fermo. Negli ultimi cinque anni, infatti, sono stati spesi 143 milioni di euro di fondi comunitari per le campagne promozionali.

In Italia la percentuale più alta dei contrari agli spot pro carne

Il sondaggio condotto dall’organizzazione ambientalista ha portato risultati sorprendenti che, come racconta Federica Ferrario della campagna agricoltura di Greenpeace Italia a Vegolosi.it, si spera possano incidere sulle scelte finali della Commissione: il 51% degli intervistati, infatti, ritiene che questo tipo di finanziamenti non debba più essere erogato mentre solo il 22% è favorevole all’uso di soldi pubblici. In Italia poi si è registrato il maggior numero di consensi alla campagna di sensibilizzazione di Greenpeace: il 53% è favorevole alla riduzione della produzione intensiva di carne proprio a causa del suo impatto ambientale e sanitario mentre solo il 23% si è dichiarato contrario. Inoltre il 58% degli intervistati pensa che sarebbe opportuno attuare misure per ridurre il consumo di carne da parte dei cittadini. La posizione italiana dunque è più netta della media europea che vede un 48% di favorevoli e un 27% di contrari.

Cresce la consapevolezza tra i cittadini europei

I cittadini europei sono oramai sempre più consapevoli dell’impatto ambientale della produzione della carne e dal sondaggio emerge chiaramente: un cittadino europeo su due riconosce gli impatti sul clima (52%), sulle foreste e sulla natura (50%) e sulla qualità dell’acqua e dell’aria (54%). Tuttavia è importante sottolineare che si è iniziato a prendere atto anche delle conseguenze di questa produzione sulla salute umana (60%) e sul benessere degli animali allevati (68%). Tra tutti il nostro paese ha confermato nuovamente di possedere un livello di consapevolezza maggiore. A rendere ancora più urgente e evidente la situazione è stata la guerra in Ucraina. Di fatti la preoccupazione sorta per la disponibilità di cereali in Europa a causa del conflitto (aggravato dalla siccità), deve ora fare i conti con lo stato delle cose: considerando che più del 60% dei cereali commercializzati in Europa è destinato all’alimentazione animale, e solo il 22% all’alimentazione umana, secondo i calcoli di Greenpeace con una riduzione dell’8% degli animali allevati in Unione Europea si potrebbe risparmiare abbastanza frumento da compensare il deficit previsto. 

Il futuro dell’Europa e la richiesta di Greenpeace

Questi secondo l’associazione ambientalista dovrebbero essere i pilastri non solo per indirizzare le scelte delle politiche di promozione dei prodotti europei ma anche per il Piano Nazionale Strategico della PAC post 2020 sul quale il Ministero dell’Agricoltura sta lavorando per giungere alla versione finale da inviare alla Commissione europea entro fine luglio. Il Piano però, secondo le osservazioni riportate da Greenpeace, non affronta con l’efficacia necessaria le questioni ambientali, e anzi rischia di promuovere nuovamente interventi potenzialmente dannosi (come l’intensificazione dell’allevamento o sostegni che comportino un aumento delle superfici da irrigare). Ecco quindi la richiesta diretta al ministro Stefano Patuanelli di convocare urgentemente il tavolo di partenariato all’interno del quale realtà produttive, sociali e mondo ambientalista possano con pari dignità, ideare insieme un futuro davvero sostenibile per l’agricoltura italiana.

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