Crisi nei macelli UK: “Nessuno vuole fare questo lavoro, poca carne per Natale”

Le riviste di settore e le associazioni lanciano l’allarme sulle possibili difficoltà nel far trovare agli inglesi carne a sufficienza per la tavole delle feste

Nessuno vuole uccidere migliaia di animali ogni giorno. Nessuno. Questa volta a dirlo non sono i temuti e temibili “vegani”, popolo di pericolosi distruttori di pazienza, bensì “Farmers Weekly“, settimanale nato nel 1934 e che da allora, ogni venerdì, chiacchiera direttamente con gli allevatori del Regno Unito.

A lanciare l’allarme  sull’ assenza di lavoratori nei macelli, sono proprio gli stessi produttori che analizzano una crisi di settore sempre più evidente. La carenza di personale è cresciuta rapidamente negli ultimi 12 mesi, con posti vacanti che nel 2017 si attestavano tra lo 0 e il 5%, mentre ora sfiorano una forbice che va dal 10-15%.

Secondo Nick Allen, direttore della British Meat Processors Association (BMPA), lo scenario che si prospetta è quello nel quale gli operatori saranno costretti a dover dare forfait. Sulle pagine del “The Guardian“, il giornalista Chas Newkey-Burden analizza i dati da un punto di vista che, per molti animalisti, risulta inconcepibile ossia quello dei lavoratori nei macelli: “Perché sta succedendo questo?”, si domanda.

Le spiegazioni sembrano due, una di natura puramente politico/economica legata alla svalutazione del Pound a causa della Brexit, l’altra di natura “umana”: nessuno vuole fare un lavoro che, è chiaro a tutti, porta con sé una serie di ripercussioni psicologiche e fisiche.

“Il lavoro nei macelli – spiega Newkey-Burden – è stato collegato ad una serie di disturbi, tra cui lo stress post-traumatico e lo stress traumatico indotto dalla perpetrazione, meno noto. Collegato anche ad episodi di violenza domestica, così come l’abuso di alcol e droghe, il lavoro nei macelli porta con sé un terribile “tributo emotivo“”. Nessuno ha voglia di pagarlo. Nemmeno chi compra carne se ci si pensa bene, dato che quasi nessuno è disposto a vedere e sentire che cosa accade davvero nei macelli. C’è chi lo fa per noi o almeno è stato così fino ad ora.

Non si tratta della prima volta che l’analisi sul consumo della carne, sull’industria che vi gravita attorno e sui suoi impatti, vengono analizzati dal punto di vista di chi lavora fra le mura dei macelli, la tappa finale del processo, quella più volutamente nascosta.

Fu Virgil Butler , ex operaio di un mattatoio di polli in Arkansas, a raccontare per primo la sua esperienza attraverso un blog e ad aprire la strada al riconoscimento di un problema enorme di carattere sociale e umano. “Non puoi semplicemente spegnere tutte le emozioni e trasformarti in uno zombie robotico della morte” spiegava Butler, morto nel 2006.

L’analisi di Newkey-Burden su “The Guardian” è su questo molto precisa: “La maggior parte delle volte gli animali, la parte vulnerabile del mondo, vengono macellati per mano di uomini che rappresentano il punto più vulnerabile della società“. Anche Fast Food Nation, libro da cui nacque un film, raccontò come a lavorare nei macelli fossero (e sono) soprattutto immigrati, persone di ceto sociale molto basso: coloro che hanno poca o nessuna scelta.

Riusciranno gli inglesi ad avere comunque le loro pietanze in tavola? E’ probabile di sì, dato che spesso gli annunci di crisi da parte dei settori come quello della carne, sono più da leggere come mosse politiche volte a spingere i governi ad intervenire con sostegni economici di varia natura; certamente la riflessione su quante e quali siano le vittime di questo sistema di produzione, sostenuto dalle nostre abitudini alimentari, sta diventando sempre più pressante e ineludibile. E poi, se ci sarà meno carne nei negozi, che dire: molto meglio.

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