I bambini sono naturalmente antispecisti: un libro ci spiega perché

In un libro la psicologa Annamaria Manzoni ci spiega cosa c’è alla base della naturale attrazione tra bambini e animali e riflette sull’importanza dell’educazione all’empatia come arma contro la violenza.

I bambini, e la loro naturale capacità di parlare con gli animali la stessa lingua delle emozioni. E noi grandi, che dei bambini siamo modello e specchio, ma quell’innata sintonia sembriamo averla persa insieme all’infanzia, se non a patto di riconquistarla poi, attraverso speculazioni di natura filosofica e razionale. Di questa dualità, di quello che accade lungo la strada che ci porta alla maturità e, soprattutto, del ruolo dell’educazione all’empatia proprio degli adulti, ci parla Annamaria Manzoni nel libro Tra cuccioli ci si intende. Poco meno di trenta pagine, pubblicate da Graphe.it Edizioni, nelle quali la psicologa va a fondo delle contraddizioni educative proprie del nostro tempo. Lo fa a partire da un assunto di base, quello secondo il quale “i bambini sono naturalmente antispecisti” semplicemente perché “per loro è normale non ipotizzare barriere tra gli esseri umani e gli altri animali, tanto meno credere che le altre specie siano meno importanti della nostra”.

Naturalmente amici

Era lo stesso Freud, ci ricorda d’altra parte Manzoni, a dirci che “il bambino non si meraviglia che nelle favole gli animali pensino e parlino. Solo quando diventa adulto si sentirà straniato da loro”. In fondo, è il motivo per il quale leggiamo ai nostri bambini storie edificanti che hanno per protagonisti gli animali e decoriamo le loro stanze con immagini di cuccioli sorridenti. È anche ciò che spiega l’origine della “pet teraphy”, nata negli Stati Uniti degli anni Sessanta come terapia che si avvale del potere della relazione bambino-animale per sostenere interventi curativi di altra natura. Tutto sta, ci ricorda Annamaria Manzoni, nella naturale “biofilia” dell’uomo, ovvero nell’affinità innata che l’uomo sente con gli altri esseri viventi, come dimostrano gli animali d’affezione (e addirittura le piante) con le quali condividiamo le nostre case cittadine. Un’attrazione che è ancora più forte nei bambini, portati a vedere solamente le analogie e non le differenze con gli esseri delle altre specie. A considerare naturale il mangiare e il dormire insieme ai propri amici animali, al di là di qualsiasi norma o convenzione sociale. Ma allora, dopo, cosa succede?

Diventare grandi

È qui che, sottolinea la psicologa, entrano in gioco i fattori educativi e il contesto sociale. Quello, per esempio, legato alle pubblicità dei prodotti a base di carne, che a poco a poco annullano l’identificazione tra gli animali delle favole e quelli che portiamo nel piatto, o di pratiche come l’andare al circo, allo zoo o al safari. La crescita come “percorso di avvicinamento, se non di inglobamento, nel mondo degli adulti e al loro approccio spesso schizofrenico alla realtà degli animali”. È così, spiega Manzoni, che “quando i piccoli bambini saranno diventati uomini e donne, i giochi saranno tutti fatti: avranno imparato che gli animali si possono amare e contestualmente mangiare, che possiamo sorridere e compiacerci là dove c’è intollerabile ingiustizia: perché tanto l’unica cosa che conta è il nostro benessere”. Un’ingiustizia che può arrivare ad assumere le forme della vera e propria crudeltà quando sono i bambini stessi a diventare “carnefici” perpetrando forme di violenza sugli animali. Quelle piccole, grandi angherie compiute sugli altri esseri viventi che, sottolinea bene Manzoni, non possono essere interpretate come una “normale” tappa di crescita quanto piuttosto come espressione di un disagio profondo dei bambini che le attuano. Non a caso, già dalla fine degli anni Ottanta, la violenza contro gli animali è stata inserita nella “bibbia” della psichiatria, il “Manuale dei disturbi mentali”, come uno degli indicatori di disordine psicologico. Un’equazione, a ben vedere, semplice: il bambino che subisce o conosce la violenza si ribella perpetrandola, a sua volta, su chi è più indifeso e debole di lui, l’animale.

L’educazione all’empatia, unica strada

E, allora, nella riflessione di Annamaria Manzoni, che da anni si occupa di antispecismo e dei suoi risvolti psicologici, è facile individuare la strada da percorrere: incoraggiare la natura predisposizione dei più piccoli agli animali, coltivare l’empatia attraverso il riconoscimento delle sofferenze dei più deboli come arma contro la violenza. Come? Attraverso l’educazione e l’offerta di modelli di comportamento. Una responsabilità che investe prima di tutto le famiglie e poi la società, in senso più ampio, “nell’imparare a trattare gli animali in modo compassionevole, gentile, responsabile, come musica di fondo di ogni altro insegnamento”. Il rispetto degli animali come modello di base per ogni altra relazione. E se anche l’evoluzione del senso civile sembra non tenere il passo su questi aspetti, come dimostra, per esempio, l’assenza di leggi che vietino spettacoli come la corrida o la presenza dei bambini in pubblicità basate sull’idea della sofferenza animale, la chiave non può che essere quella. “Se i bambini – è lo spunto finale di Annamaria Manzoni – imparano a rispettare i diritti degli animali e a riflettere sul loro dolore e la loro sofferenza allargheranno le loro capacità empatiche: l’universalizzazione dell’empatia fino a includere tutti gli esseri viventi è il vero traguardo della razza umana, l’unico in grado di cambiare davvero l’attuale stato delle cose”.

Annamaria Manzoni
Tra cuccioli ci si intende. Bambini e animali
Graphe
4,25 euro

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