Dove vanno a finire i nostri rifiuti di plastica? Li esportiamo all’estero

L’Italia non è in grado di smaltire tutti i rifiuti plastici che produce, che vengono quindi esportati in altri paesi; dopo la decisione da parte della Cina di non accoglierli (quasi) più, la situazione risulta allarmante. Il report di Greenpeace.

Ad un anno dalla decisione da parte della Cina di non importare più rifiuti plastici dal resto del mondo,”rischiamo di essere sommersi dalla plastica” secondo l’allarmante pronostico lanciato da Greenpeace, organizzazione ambientalista internazionale, che ha analizzato in un report la situazione a livello globale.

Il bando messo in atto dal Governo cinese, infatti, ha innescato una sorta di “effetto domino” deleterio per l’Occidente, Italia compresa, mettendo in luce numerose falle nel sistema del riciclo dei rifiuti: in sintesi i paesi che esportavano tonnellate di rifiuti plastici all’estero hanno dovuto e devono trovare delle alternative valide per liberarsene.

Ora che bussare ai porti cinesi non serve più, l’esportazione di scarti di lavorazione, cascami, rifiuti industriali e avanzi di materie plastiche (riconducibili al codice doganale 3915) viene effettuata in altri paesi, alcuni dei quali presentano leggi meno rigorose per la tutela ambientale.

Italia: dove finisce tutta la plastica che scartiamo?

L’Italia, secondo il report, si trova all’undicesimo posto tra i principali esportatori di plastica nel mondo: “nel 2018 ne abbiamo spediti all’estero 197 mila tonnellate, per un giro d’affari di 58,9 milioni di euro”. Fino a qualche tempo fa era la Cina ad accogliere la maggior parte dei nostri rifiuti di plastica industriali ma da una manciata di mesi a questa parte si è reso necessario aprire nuove rotte per la loro esportazione (e il successivo smaltimento), coinvolgendo paesi come Malesia e Vietnam, ma anche Turchia, Yemen, Usa e Thailandia. A questi si aggiungo paesi come la Romania, la Slovenia e la Croazia, “paesi entrati da poco in Ue, e dove i controlli sono meno accurati

Esportazione rifiuti plastici Italia

Un grafico che mostra l’evoluzione dell’esportazione dei nostri rifiuti plastici nel tempo: nel 2018 la quantità di plastica italiana esportata in Cina si è ridotta sensibilmente, distribuita in altri paesi

Ma perché il nostro paese non smaltisce in autonomia la plastica che produce? “Per capire perché esportavamo tanti rifiuti in plastica verso la Cina, e perché li esportiamo tutt’ora verso altri Paesi – spiega Claudia Salvestrini, direttrice di Polieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene, che si occupa di vigilare sul corretto riciclo dei rifiuti di plastica- si deve partire dall’analizzare la raccolta differenziata di plastica in Italia. Il problema nasce tutto da lì, dal fatto che nel nostro paese si premia la quantità e non la qualità della raccolta differenziata.

Possiamo anche raggiungere il 90% di raccolta differenziata, ma all’atto pratico si tratta spesso di plastica di bassa qualità, tanto che di quella raccolta differenziata posso avere più del 30% di materiali eterogenei di plastica da scartare”.

Scarti in plastica difficili da riciclare, quindi, che il nostro paese ha sempre esportato all’estero, molto spesso “in impianti fatiscenti o inesistenti, e ancor più spesso privi dei sistemi di sanificazione e di lavaggio”. Il tutto si è potuto tradurre in parte anche  nella produzione da parte della Cina di oggetti in plastica contaminata, che ritornava (anche) nel nostro paese sotto forma di giocattoli, contenitori e addirittura biberon per bambini.

Riciclo “illegale” della plastica: ci sono rischi per la salute

Il grande problema di questo cambio di rotta è che i paesi che accolgono tonnellate di plastica da riciclare, non siano effettivamente in grado di farlo nella maniera corretta: come ricorda Greenpeace, la legge obbliga il nostro paese – attraverso il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, n.1013 – a esportare questi rifiuti esclusivamente in paesi in cui siano trattati rispettando le leggi vigenti in Europa, sia per quanto riguarda la tutela della salute umana che quella ambientale. Il punto, però, è che non mancano dubbi sul fatto che questo avvenga realmente: già quando la maggior parte degli scarti arrivavano in Cina, per esempio, sono state scoperte false certificazioni che raccontavano del corretto trattamento dei rifiuti, ma anche della presenza dei requisiti fondamentali da parte dei destinatari cinesi per accoglierli. “Si trattava di un vero e proprio delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti”, afferma Roberto Pennisi, Sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia. “E anche nei flussi attuali, potrebbe esserci il rischio che parte del materiale non sia riciclato seguendo i corretti standard” precisa.

Esportazione rifiuti plastici fuori dall'UE

Un grafico che mostra come buona parte dei rifiuti plastici prodotti nel nostro paese vengano smaltiti al di fuori dell’Unione Europea

Questo, purtroppo, potrebbe tradursi in rischi concreti per la salute: uno smaltimento scorretto della plastica attraverso la sua incinerazione, per esempio, produce diossine, sostanze altamente inquinanti che si accumulano nell’ambiente e che possono provocare alterazioni del sistema immunitario, danni nello sviluppo del feto e squilibri ormonali anche gravi.

Certo, non mancano le esportazioni di rifiuti in paesi europei che rispettano le normative – prima tra tutti l’Austria, seguita a ruota dalla Germania e dalla Spagna – ma il problema è che spesso si tratta di uno scarico di responsabilità che porta comunque, dopo qualche rimpallo, a far arrivare la plastica in Asia: “È cambiata la modalità, ma siamo comunque di fronte alle condizioni per un perfetto traffico internazionale illecito di rifiuti” conclude Claudia Salvestrini.

Riciclare non basta

Il bando messo in atto dalla Cina ha fatto emergere un problema gravissimo per l’Italia: nel nostro paese mancano gli impianti di recupero e di riciclo anche se, secondo gli esperti, un riciclo della totalità della plastica immessa sul mercato risulterebbe comunque impossibile anche se avessimo a disposizione un maggior numero di impianti. La soluzione, quindi, è a monte: ridurre il quantitativo di plastica che utilizziamo è un imperativo morale per il nostro paese e per il singolo. Dopo che l’Europa ha messo al bando i prodotti in plastica usa e getta entro il 2025, ora tocca a noi: diciamo “no” alla plastica nella nostra vita quotidiana, in cucina e in bagno – anche grazie al contributo di libri che ci spiegano come fare – e iniziamo oggi, subito, a liberare il pianeta e i suoi abitanti da un materiale così altamente inquinante (e spesso, superfluo!).

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