I partiti animalisti al Parlamento Europeo e il deserto italiano

Cosa succede intorno a noi mentre nel nostro paese non usciamo da luoghi comuni, errori e terrore del diverso?

E’ stata definita “onda verde” quella che in parte dell’Europa (tranne l’Italia) ha visto i partiti di stampo ambientalista ottenere ottimi risultati alle recenti elezioni. Uno dei risultati più interessanti è la presenza di tre nuovi eurodeputati provenienti da tre partiti di matrice chiaramente animalista al parlamento europeo.

I partiti che hanno superato la soglia di sbarramento sono:

  • Pessoas-animais-natureza – Portogallo
  • Tierschutzpartei – Germania
  • Partij voor de Dieren – Olanda

Due di questi, il partito tedesco e quello olandese non sono nuovi a cariche politiche importanti, sono infatti partiti che hanno una lunga storia di rappresentanza all’interno dei governi e dello stesso parlamento europeo. La vera novità è il seggio ottenuto dal partito portoghese che porterà con sé le istanze presentate nel proprio programma elettorale, fra le quali:

    • Abolizione dei prodotti la cui origine comporta estrema sofferenza agli animali, “come il foie gras e le pellicce
    • Riduzione della sperimentazione animale
    • Riduzione delle diete a base di carne
    • Indirizzamento fondi UE verso l’agricoltura biologica
    • Eliminazione dei fondi europei per gli allevamenti intensivi

Si tratta di segnali politici interessanti perché sembra che l’opinione pubblica sia stata profondamente influenzata dalla sempre maggior pressione su temi legati all’ambiente e alla sua tutela nonché a quelli legati al benessere animale. La presenza di rappresentati politici così nettamente schierati contro il consumo di carne e a favore di sempre maggiori tutele nei confronti degli animali, nonché di una filosofia generale legata alla revisioni delle abitudini alimentari consolidate, sono segnali che vanno ad inserirsi in un più ampio moto mondiale, a livello economico, legato alla necessità di cambiare rotta (pensiamo al successo economico delle aziende che stanno investendo sulla produzione di alimenti alternativi alla carne, o alle startup che lavorano alla creazione di carne in vitro, o le aziende di moda che sempre di più cercano materiali alternativi per produrre i propri capi).

L’Italia non ce la fa

Unica nota decisamente negativa è l’analisi sui risultati nel nostro paese, nel quale politicamente si continua ad ondeggiare fra un animalismo politico spesso di facciata, spinto su tematiche legate agli animali di affezione, e una sempre più decisiva disinformazione sul tema dell’alimentazione a base vegetale, riportata dai media come centro di dibattiti polarizzati in “vegani VS carnivori” o altre indubbie sciocchezze di questo tipo che hanno come unico obiettivo quello di banalizzare e svuotare di significato, un movimento internazionale (e nazionale) che non può essere semplicemente ridotto ad una battaglia fra chi ama la carne e chi vuole salvare galline e maiali.

Semplificare, da una parte e dall’altra, non è più possibile e non è immaginabile ancora nel 2019, mettere la filosofia e il movimento vegan nell’angolo degli scampati o nostalgici di Woodstock.

Il mondo attorno a noi

Il panorama internazionale è sempre più ricco di nuove proposte, di idee innovative create da aziende che trovano anche nella politica e negli investitori un terreno fertile di sviluppo, mentre in Italia si cercano solo alternative di facciata, come bollini di verde vestiti di che millantano il “benessere animale” su confezioni di prosciutto, o aziende che sostengono di produrre carne o latte in modo etico, svuotando questa parola di qualsiasi significato attendibile, lo Stato finanzia pubblicità che raccontano di quanto la carne sia un alimento sano ed equilibrato, i politici azzannano braciole alle presentazioni ufficiali.
Si cerca ancora di ingannare i consumatori (riuscendoci spesso), spostando l’attenzione sui nomi dei prodotti come se la cosa importante fosse come chiamare il latte di soia o di mandorle e non il fatto che esiste un problema mondiale di sostenibilità ecologica e un continuo massacro inutile e antistorico di animali continuamente presentati come cose delle quali è necessario conoscere solo il libretto di istruzioni.
Da una parte si spaventa il pubblico raccontando che la “carne finta” è un “prodotto di sintesi“, come se la verdura, la frutta, i cereali, e il nostro stesso corpo non lo fossero (dato che la sintesi chimica è alla base di tutto quello che ci circonda), dall’alta lo si rassicura, nonostante l’allarme mondiale dell’OMS, che la carne mangiata in modo equilibrato non ha mai fatto male a nessuno, anzi.

Dimentichiamoci la parola “facile”

Senza uscire da questa battaglia “buoni VS cattivi”, non ci saranno possibilità politiche o economiche reali in un paese che ha sempre più paura di ciò che non conosce (e che non vuole o non ha gli strumenti per conoscere), spingendo sempre più “l’altro da sé” (che sia vegano, straniero o ambientalista) in un cantuccio arredato con termini come “complotto”, “élite”, “moda” o “follia”. La soluzione è difficile e complicata, perché passa dalla capacità della maggioranza di leggere, capire, farsi delle domande e rimanere dentro di esse senza cercare un bigino comodo che ci dica che siamo completamente nel giusto o nell’errore.

La soluzione è complicata, e forse non è nemmeno una soluzione completa ma è certamente l’unica via percorribile per non finire definitivamente nel baratro.

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