“Fresh”: la violenza sulla “carne” femminile è un film che parla anche di noi
Quando il sistema patriarcale divora: una riflessione cinematografica tra mercificazione della carne, violenza sulle donne, alimentazione e sfruttamento.
Ricevi un romantico invito a cena: ma cosa accade se, al tuo arrivo, scopri che la cena sarà proprio il tuo corpo in carne ed ossa? È quello che prova a raccontare Fresh, letteralmente “fresco”, aggettivo che fa da titolo alla nuova commedia-thriller debutto della giovane regista Mimi Cave. Il film è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival lo scorso 20 gennaio ed è uscito negli Stati Uniti sulla piattaforma Hulu, il 4 marzo 2022. In Italia, Fresh è previsto in arrivo su Disney+ a partire dal prossimo 15 aprile.
Il tema di base del film, però, nonostante la “patina” leggera che lo ricopre, è immenso: quello della mercificazione della carne, l’abuso sulle donne, la violenza su corpi che non hanno più un’identità e la nostra impossibilità a rinunciare al piacere che la carne ci da (indipendentemente da dove “arrivi”). E le ombre delle riflessioni dell’attivista Carol Adams nel suo saggio “Carne da macello” (ne abbiamo parlato approfonditamente sul numero di settembre di Vegolosi MAG) si fanno lunghe e nette su questa pellicola.
Una trama che divora
La protagonista del film, interpretata dall’attrice britannica, classe 1998, Daisy Edgar-Jones, si chiama Noa: una ventenne dalla personalità ironica e autentica. Noa, nel reparto ortofrutta di un supermercato aperto sino a tarda sera, incontra per caso Steve un chirurgo plastico, apparentemente, perfetto. Per la prima mezz’ora il film procede come una comune commedia romantica finché, con trentatrè minuti di ritardo, non compaiono i titoli di testa e la trama si apre verso una deriva del tutto inaspettata.
Steve invita Noa a trascorrere un weekend nella sua casa in campagna, un luogo inquietante ed isolato, dove anche la linea del telefono non funziona. L’invito si rivela così essere una trappola mortale e dal reparto ortofrutta, del primo magico incontro, lo spettatore è catapultato in una “macelleria” casalinga. Il film inizia da qui a connettere il tema della violenza e dei diritti delle donne con quello dei diritti degli animali. Vi è, infatti, un continuo susseguirsi di immagini in cui la carne dei corpi femminili è paragonata alla “carne da macello” regolarmente consumata, acquistabile e visibile andando a fare la spesa in un qualsiasi supermercato.
Steve è tutt’altro che un vero e proprio chirurgo: il suo lavoro consiste nel prelevare pezzi di carne umana, da vittime di sesso femminile che tiene prigioniere nella sua tenuta. Le donne rappresentano delle prede da uccidere lentamente prelevandone, di volta in volta con delle operazioni chirurgiche, una parte del corpo così da lasciarle vive il più a lungo possibile affinché la loro carne si mantenga “fresca” ad ogni taglio. I corpi delle donne sono infatti, per Steve, merce preziosa sia da consumare, che da rivendere in un mercato segreto di “estimatori del genere” nonché cannibali come lui.
Carne e violenza di genere: animali o patriarcali?
Nulla è lasciato al caso in questo film dalle tinte calde, sulle tonalità dei rossi e dei marroni, che richiamano proprio i colori della carne e del sangue. Sono frequenti delle inquadrature sfuocate e rallentate, come se si entrasse nel punto di vista di una mente confusa e allucinata. Quella di Steve, per la carne umana femminile, è una vera e propria dipendenza e lui stesso dirà che è un gusto a cui non può rinunciare e che più se ne nutre, più il desiderio aumenta. Irrimediabilmente tale bisogno, per essere soddisfatto, si lega ad una pratica violenta.
Le immagini di Fresh sono definite “forti” e sconsigliate ai “deboli di stomaco”. Eppure la carne mostrata e cucinata nelle varie scene, da cruda a cotta e persino sotto forma di paté, è identica alla carne degli animali a cui lo spettatore è, semplicemente, più “abituato”. A cambiare è solo la consapevolezza che abbiamo in merito a quel pezzo di carne che, nel film, ci provoca sensazioni fastidiose e di ribrezzo per il solo fatto di sapere che appartiene ad un essere vivente con un’identità precisa e vicina alla nostra. Ecco allora spiegato come, attraverso la perdita dell’individualità, possa essere accettabile nutrirsi di animali e vittime quando vengono ridotti a pure merci e “oggetti”.
La mercificazione dell’amore: l’oggetto-carne
Noa non è l’unica detenuta di Steve. Nella sua tenuta segreta ci sono altre vittime come, ad esempio, la sua vicina di stanza. Le due donne comunicano tramite il muro che le separa, ed è durante uno di questi dialoghi che emerge una fondamentale verità: “Non è colpa tua Noa! Non è colpa nostra!”. Benché il senso di colpa sia sempre un deterrente nelle denunce di violenza, il film ribadisce il concetto per cui la vittima non abbia in realtà mai alcuna colpa. La “preda”, per il solo fatto di esistere, non può essere responsabile del comportamento del suo carnefice che non riesce a tenere a bada i suoi istinti più malati.
L’ amore, nel film, appare come un sentimento mercificato e la donna come un “oggetto” da consumare con violenza. Un consumo che di “fresh” non ha proprio nulla. È piuttosto il suo opposto, la sua ombra ad emergere: il marcio. Nel finale Steve ha un aspetto irriconoscibile e incarna proprio un’umanità andata a male, nonché gli istinti di morte e di cattiveria più abietti che ci siano.
In chiave metaforica, allora, il film potrebbe invitarci a mettere in discussione le nostre abitudini ed il nostro concetto di nutri-menti. Attraverso la realizzazione di uno sguardo nuovo per cui se davvero c’è “amore” allora non possono coesistere oppressione e violenza ma piuttosto la visione di un terreno fertile, da coltivare insieme, e di cui prendersi cura ogni giorno.
Ecofemminismo: donne e animali contro le ingiustizie globali
Esistono, purtroppo, anche agghiaccianti casi reali di cronaca riguardo a uomini che hanno letteralmente mangiato delle donne per possedere ancora “di più” le loro vittime. Se ciò è qualcosa di piuttosto occasionale, lo stesso non si può affermare in merito al consumo metaforico che tutti noi quotidianamente facciamo di immagini visive di corpi femminili. Basti pensare a come il marketing faccia uso di immagini di donne provocanti per vendere i propri prodotti, mescolando così la sessualità al possesso e al consumo spesso e volentieri proprio di cibi animali.
La connessione tra il tema dei diritti delle donne, quelli degli animali e dei loro corpi trasformati in cibo è qualcosa di ancestrale e studiato in vari campi del sapere. La saggista e attivista americana Carol J. Adams ne ha, ad esempio, racchiuso i punti fondamentali nel suo saggio “The Sexual Politics of Meat”, pietra miliare dell’ecofemminismo vegetariano, pubblicato nel 1989 e tradotto in Italia da VandA Edizioni.
Il saggio teorizza il collegamento fra lo sfruttamento animale e la cultura patriarcale sulla quale si basano anche la violenza e la negazione dei diritti delle donne.
Grazie alla mercificazione della carne, ovvero al rendere l’animale un oggetto, anche da un punto di vista linguistico con la sua trasformazione in “cosa”, l’animale viene spogliato di qualsiasi riferimento alla propria individualità sino a scomparire. Ecco così spiegata quella scena di “Fresh” dove le vittime vengono private dei loro oggetti e indumenti, che chiusi in scatole sono poi inviati ai loro rispettivi carnefici che ne hanno comprato i corpi per mangiarli. Con questo gesto, infatti, appare la netta distinzione tra l’identità della persona e il suo corpo ridotto a puro oggetto di consumo.
Gli studi delle teorie ecofemministe hanno portato alla luce come la carne, nei secoli, sia diventata simbolo della virilità e del potere. Mangiare la carne è divenuto sempre di più un atto di forza, un emblema di ricchezza, uno status symbol legato al maschile che porta all’implicita divisione per cui la carne sarebbe dedicata all’uomo, mentre i vegetali alle donne. Si tratta di una separazione sia concettuale che linguistica basti pensare, infatti, a frasi come “ragazze delicate come i fiori” oppure “uomini forti come tori”. La carne da consumare, scrive la Adams, è divenuta simbolo del potere patriarcale. Un sistema che si riversa, a sua volta, sulle donne e sui loro corpi.
L’ ecofemminismo richiama sempre di più a quel concetto per cui il femminismo dovrebbe essere un movimento volto a porre fine a tutte le varie forme di oppressione. Ciò perché dietro a tali oppressioni vi sono delle ingiustizie che più che essere cause separate da “combattere” a comparti stagni, dovrebbero farsi forza nei loro numerosi punti in comune. In una visione olistica, il movimento femminista non ha quindi solo a vedere con le donne ma, anzi, con tutti coloro i quali desiderano la messa in atto di un cambiamento, per il riconoscimento di un unico principio di giustizia e di pace lontano da qualsiasi forma di violenza.