Senza alberi il clima non “guarisce”. Ogni anno tagliamo 5 milioni di ettari

WWF ha pubblicato un report che spiega la connessione tra deforestazione e riscaldamento globale fra le prime cause lo spazio per i bovini e l’olio di palma.

Oggi, 21 marzo 2022, si celebra la Giornata internazionale delle foreste e senza di loro il tentativo di rallentare la crisi climatica è del tutto inutile. Eppure l’uomo continua a tagliare alberi per milioni di ettari ogni anno. Una visione miope che caratterizza l’approccio della nostra specie verso la natura e che ci ha portati alla situazione attuale, ben documentata nel nuovo report  di WWF “Deforestazione e cambiamento climatico: l’impatto dei consumi sui sistemi naturali” realizzato in vista di Earth Hour

Il testo mira a sensibilizzare gli individui su come la produzione industriale di materie prime agricole stia divorando le foreste del pianeta, minando così anche la lotta al cambiamento climatico. 

Perché le foreste sono fondamentali per il clima

Ogni anno l’umanità immette nell’atmosfera circa 36 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2) a causa dei combustibili fossili, queste emissioni sono responsabili dell’aumento di circa 1,1°C di riscaldamento globale rispetto al periodo di fine ‘800. Il primo capitolo del report si concentra interamente sul ruolo fondamentale delle foreste per aiutarci a contrastare il riscaldamento globale, proprio a partire da questi dati. Non è possibile limitare l’incremento delle temperature a +1,5°C senza l’aiuto degli alberi e del suolo forestale. Possiamo infatti considerare le foreste come dei grandi contenitori di CO2. Immagazzinando ingenti quantità di anidride carbonica che assorbono dall’atmosfera, queste la trasformano in carbonio tramite la fotosintesi.

L’infografica del WWF realizzata per il report

Il problema però è che quando gli alberi vengono tagliati, parte della CO2 assorbita viene riemessa in atmosfera. Considerando che solo dal 2000 è stato perso circa il 10% della superficie forestale mondiale ad oggi, dopo la combustione dei fossili, la deforestazione rappresenta la seconda fonte umana di CO2. Qual è la causa del 90% della deforestazione a livello globale? L’espansione dell’agricoltura come piantagioni, coltivazioni per produzioni di commodities agricole e pascoli per allevamenti intensivi e questa perdita si è registrata prevalentemente in zone tropicali e sub-tropicali.

L’impatto dell’uomo poi è relativo anche al degrado delle aree forestali. Gli ecosistemi infatti, anche se non “demoliti”, possono subire fenomeni di degrado intensi che compromettono la loro possibilità di assorbire CO2, come è il caso degli studi riguardo la foresta amazzonica che ne hanno registrato una riduzione fino al 70% della capacità di assorbire e trattenere CO2. Questi fenomeni stanno mettendo a rischio non solo la stabilità del clima, ma anche la sopravvivenza delle popolazioni indigene e delle specie animali e vegetali che stanno rapidamente scomparendo. 

L’espansione agricola e la perdita di foreste 

Ogni anno vengono convertiti circa 5 milioni di ettari (Mha) di foreste per l’espansione dell’agricoltura nelle zone tropicali e sono 7 i giganti che dominano la distruzione delle foreste in ordine di importanza (analizzati nel lasso di tempo dal 2001 al 2015):

  • Pascoli dei bovini: l’allevamento di bovini è la causa principale (37%) di perdita delle foreste tropicali nel mondo. Si stima che nel lasso di tempo indicato siano stati distrutti 45,1 Mha di foreste per l’industria delle carni, e il 70% di quest’area si trova in Amazzonia
  • Palma da olio: nello stesso lasso di tempo, le piantagioni da olio di palma si sono espanse su 22,4 Mha. L’olio di palma è l’olio vegetale più utilizzato al mondo, soprattutto per scopi bioenergetici ma anche per saponi, cosmetici e prodotti alimentari. L’arcipelago indonesiano e la Malesia costituiscono uno sterminato polmone verde che segue sempre più le orme del Brasile
  • Soia: dal 1950 la produzione di soia è aumentata di 15 volte a causa della crescita dei consumi globali di carne e derivati animali. A livello globale la coltivazione di soia ha sostituito l’8,2 Mha di foresta. Il 97% di questa deforestazione si è verificata in Sud America.
  • Cacao: il cacao ha causato la perdita di 2,3 Mha di foresta. L’Indonesia e la Costa d’Avorio sono stati i due Paesi con la maggiore superficie forestale sostituita dalle coltivazioni di cacao. 
  • Caffè: quasi 2 Mha di foresta sono stati sostituiti da piantagioni di caffè. Per la varietà Robusta tra l’Indonesia, il Brasile, il Madagascar e il Vietnam, mentre per quella Arabica, tra il Brasile, il Perù e la Colombia.
  • Gomma: la gomma ha causato la perdita di 2,1 Mha di foresta, prevalentemente in Indonesia e Malesia. Mentre la gomma era tradizionalmente coltivata come parte di operazioni agroforestali miste, oggi le piantagioni in monocoltura dominano la produzione.
  • Legno: negli ultimi anni il commercio di prodotti legnosi è aumentato esponenzialmente. Per soddisfare queste richieste, sono in espansione le “piantagioni da legno” che occupano decine di milioni di ettari di superficie e per le quali ogni anno quasi 1 Mha viene convertito. Le aree più colpite sono l’Indonesia, la Malesia e la Cina.
  • Gamberi*: non può collocarsi tra i 7 giganti, ma anche la produzione di gamberi causa perdita e frammentazione di foreste, soprattutto di mangrovie. La deforestazione avviene prevalentemente nel Sud-Est asiatico e è dovuta ad acquacoltura e agricoltura. L’impatto di questa produzione ha causato il 62% della perdita globale di mangrovie. 

Le responsabilità di Europa e Italia

L’Europa, a lungo il primo importatore di deforestazione, ad oggi si trova alla seconda posizione come maggiore importatore al mondo di “deforestazione incorporata” da ecosistemi tropicali e subtropicali. Mentre ogni anno spariscono quasi 36.000 ettari di foreste solo per il consumo degli italiani, che ricoprono il secondo posto subito dopo la Germania nel gruppo degli otto Paesi europei che sono responsabili dell’80% della distruzione forestale indiretta: l’importazione delle materie prime avviene da Paesi tropicali e poi vengono lavorate e consumate in Europa.

La proposta di legge

In conclusione al report, considerando evidente come non sia possibile salvarsi dal cambiamento climatico senza fermare la deforestazione, la Commissione europea nel novembre del 2021 ha presentato una proposta di legge per mitigare l’impatto dei consumi europei sulle foreste. La normativa, che il WWF dichiara presentare delle lacune, mira a ridurre significativamente l’impronta ecologica del commercio internazionale richiedendo alle aziende di tracciare l’origine delle materie prime e dei prodotti che immettono sul mercato e dimostrare che non siano collegate alla distruzione e al degrado delle foreste. In questo momento l’Unione Europea non sta riuscendo a risolvere il problema, ma con una giusta legislazione, potrebbe rendersi portavoce della soluzione.

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