Scrub ed esfolianti addio: da gennaio in Italia stop alle vendita dei prodotti con microplastiche

L’Italia mette al bando gli esfolianti contenenti microplastiche, che dal 2020 non potranno più essere commercializzati.

Addio a scrub e bagnoschiuma esfolianti. Quantomeno a quelli contenenti microplastiche. Scatterà, infatti, il 1 gennaio il divieto di commercializzazione in Italia di questo genere di prodotti, a distanza di due anni dall’approvazione della legge che lo ha imposto. Una buona notizia se si considera che in Italia viene prodotto circa il 60% dei prodotti cosmetici mondiali e che il nostro Paese è tra i primi in Europa, insieme al Regno Unito, ad aver adottato il provvedimento.

Stop alle microplastiche nei detergenti

Il divieto alla commercializzazione, introdotto con la manovra di Bilancio del 2018, riguarda espressamente “i cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche”. Nei due anni intercorsi dall’approvazione della norma alla sua entrata in vigore le aziende del comparto hanno avuto il tempo per trovare nuove formule biodegradabili per gli scrub e per tutti i prodotti che hanno azione esfoliante. Una riconversione di fatto ultimata con largo anticipo, stando alle indicazioni delle associazioni di categorie dei produttori del settore. Già lo scorso anno, infatti, secondo Cosmetica Italia, a livello europeo le microplastiche erano state eliminate da questo tipo di cosmetici per il 97,6% dei casi (con una riduzione di consumo di plastica pari a circa 4250 tonnellate). Un risultato frutto anche di un’autoregolamentazione che l’intero comparto aveva condiviso a livello europeo a partire dal 2015 seguendo un analogo divieto già in vigore negli Stati Uniti, e che poi l’Italia ha fatto propria a livello legislativo alla fine del 2017.

 

La lotta alle microplastiche

In realtà, secondo le stime dei produttori di prodotti di bellezza, i cosmetici contenenti le microparticelle di plastica solida non biodegradabile contribuirebbero all’inquinamento da microplastica in misura minima (al massimo per l’1,5% del totale è la stima effettuata), a differenze di altri comparti come nel caso delle particelle che si disperdono per l’usura degli pneumatici o per la naturale frammentazione dei rifiuti plastici di dimensioni più grandi. E’ anche per questo che la lotta a queste particelle che finiscono per riversarsi nelle acque di fiumi e mari con enormi impatti sull’ambiente e sugli animali dovrà passare anche per altre vie.

A questo proposito, l’Echa, l’Agenzie Chimica Europea, ha presentato all’inizio di quest’anno un documento con “una proposta di restrizione per le particelle di microplastica aggiunte intenzionalmente alle miscele utilizzate da consumatori o professionisti”. Ovvero, di quelle particelle di polimeri sintetici microscopici, grandi meno di 5 millimetri, che resistono alla biodegradazione e che vengono aggiunte nei cosmetici, ma anche in detergenti, medicinali, prodotti per la manutenzione, vernici e rivestimenti, materiali da costruzione e prodotti usati in agricoltura, soprattutto, per migliorarne le performance. Una restrizione che, se adottata a livello europeo, potrebbe ridurre la quantità di microplastiche rilasciate nell’ambiente in Europa di circa 400mila tonnellate in 20 anni.

Il documento europeo

La proposta dell’Echa sottolinea tutta la pericolosità delle microplastiche, che “hanno maggiori probabilità di accumularsi negli ambienti terrestri, poiché le particelle si concentrano nei fanghi di depurazione che vengono frequentemente applicati come fertilizzanti. Una volta rilasciate – si legge nel documento – possono essere estremamente persistenti nell’ambiente, durare migliaia di anni e sono praticamente impossibili da rimuovere. Attualmente – sottolinea ancora l’Agenzia europea – non è possibile determinare l’impatto di tale esposizione a lungo termine sull’ambiente”. Ci sono, poi, le conseguenze sulla salute che, seppur non ancora definite, si collegherebbero all’ingresso delle particelle direttamente nella catena alimentare fino all’uomo. La proposta di restrizione avanzata dall’Agenzia dovrà passare ora al vaglio della Commissione Europea, con le lungaggini proprie della burocrazia di Bruxelles. Oppure, per accelerare i tempi, essere anticipata da norme specifiche adottate dai singoli Paesi, proprio come nel caso della best practice italiana sui cosmetici. 

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