Alimentazione vegana e influencer: una buona idea?

Rischi e benefici di parlare di alimentazione vegana attraverso i megafoni di personaggi famosi sui social network

È un bene o è un male che persone molto famose parlino di alimentazione vegana? Il dibattito sul ruolo di quelli che definiamo “influencer”, ossia di coloro che utilizzano i social media per condividere contenuti originali e che, acquisendo sempre più seguito, possono indirizzare gli acquisti o i comportamenti di un gran numero di persone, è molto interessante.

L’ultima occasione per tornate sul tema è stata la scelta da parte dell’azienda americana quotata in borsa Beyond Meat – che produce burger e polpette vegetali che imitano la carne – di ingaggiare la modella e imprenditrice Kim Kardashian per sponsorizzare i suoi prodotti. La polemica si è innescata immediatamente: da una parte Kardashian è stata “accusata” di non essere credibile come testimonial perché non vegana, dall’altra il video in cui assaggia i prodotti è stato visto da più di un milione di persone (in realtà un dato “basso” rispetto alla media ottenuta dai contenuti dalla modella) garantendo un’ottima visibilità a prodotti sostitutivi della carne animale.

Rischi e benefici

L’idea del “testimonial” è vecchia come il mondo e l’attività social ha solo fatto in modo che questo sistema raggiungesse scale globali in modo praticamente istantaneo. Ma prima va chiarita una differenza: un conto è parlare di prodotti vegetali e un’altra è parlare di scelta vegana e molto dipende anche dal traguardo che ci si pone.

Le aziende che producono beni (anche vegani) hanno un obiettivo sopra ogni altro (ed è ovvio e normale che sia così): vendere il proprio prodotto a sempre più persone. Ingaggiare la “persona giusta” può essere un viatico eccezionale. Ci sono però due rischi principali: il primo è che l’influencer di turno possa “cadere” in qualche modo in comportamenti che determinino un crollo della credibilità, trascinando con sé quel prodotto o quel comportamento che viene sponsorizzato al momento; il secondo rischio è che si avvalori il messaggio (parliamo del caso dell’alimentazione vegana) che si tratti di una “moda” che viene seguita in un dato momento sia per aumento della richiesta da parte dei brand, sia da parte del pubblico stesso. In entrambi i casi, il danno per la filosofia vegana e le riflessioni che stanno alla sua base è abbastanza sostanziale.

Un caso fra tutti che spiega il primo rischio è quello della cantante Miley Cyrus. Fra le caratteristiche che contraddistinsero la sua comunicazione ufficiale, infatti, non ebbe un ruolo marginale il suo amore per gli animali e la sua scelta alimentare vegana. Nel 2020 l’artista trentenne, durante una trasmissione radiofonica, annunciò la sua scelta di abbandonare l’alimentazione vegana. La motivazione? Il suo cervello “non funzionava più come prima” ma “dopo aver mangiato pesce” si era sentita subito meglio. Nonostante non esistesse e non esista una base scientifica rispetto a queste dichiarazioni (come abbiamo spiegato qui insieme alla dottoressa Denise Filippin), la notizia ebbe un’eco enorme e andò a fomentare una serie di pregiudizi e timori scientificamente infondati sull’alimentazione vegana.

Semplificazione e parole tabù

Il rischio del testimonial è anche un altro: quello di affrontare le tematiche delicatissime e molto complesse che sottostanno alla scelta vegana in modo superficiale passando l’idea, di volta in volta, che si tratti di una scelta legata al dimagrimento o al benessere fisico personale: difficile, infatti, che il testimonial di turno si spenda in modo forte su tematiche antispeciste oppure su quelle ambientali. Motivo principale, spesso, il tema degli eventuali ingaggi pubblicitari con aziende che non possono essere completamente in linea con quelle scelte o che non possono permettersi di stringere così tanto il pubblico al quale fanno riferimento. Ecco perché – ne abbiamo parlato anche qui – la parola “vegano” non viene utilizzata quasi mai, immaginata come un tabù che porta con sé l’immagine di una persona fastidiosa, “esagerata” o, peggio ancora, “estremista”. Affermare “cucino vegano” oppure “sono vegano/a” possono essere forti limitazione ad uno degli obiettivi dei testimonial: raggiungere più persone per poi vendere numeri alle aziende.

Eppure…

Ma non è possibile non valutare un altro aspetto. Se l’obiettivo principale di una parte di chi segue l’alimentazione vegana è la liberazione animale, un mondo nel quale, finalmente, il nostro rapporto con le altre specie non sia più di sfruttamento ingiustificato e violenza bensì di alternative alimentari e sociali valide, un primo passo è mostrare, anche sotto le “mentite” spoglie di un’alimentazione solo “green” o, che mangiare vegetale è facilissimo, per nulla legato al concetto di privazione e che può essere molto diverso dall’immagine che i media tradizionali le hanno affibbiato (colpevolmente e in modo doloso) in questi anni. Se più persone compreranno e mangeranno vegano anche solo qualche volta in più grazie agli influencer, questa è solo una buona notizia anche se la scelta verrà fatta, forse, con una consapevolezza culturale quasi inesistente.

Per poter davvero cambiare le cose, ogni modalità, ogni rivolo che va allo stesso fiume e poi allo stesso mare, sono da valutare positivamente, al netto del fatto che, e questo non può essere scordato, la scelta vegana continua a non essere semplicissima per tutti (socialmente o a livello familiare) ed avere una consapevolezza forte, basata su motivazioni vere e costruite culturalmente non è un plus senza valore, bensì un modo per mantenere salda questa scelta senza farne solo un tentativo o una fase passeggera della propria vita “influenzata” da altri.

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