Voltaire vegetariano: “E’ barbaro far soffrire gli animali”

In una serie di scritti e riflessioni sparsi nelle sue maggiori opere e raccolte oggi nel libro “Pensieri vegetariani” , Voltaire ha espresso indignazione per il trattamento indegno riservato agli animali

Voltaire vegetariano

Gli animali hanno le nostre stesse facoltà. Strutturati come noi, ricevono come noi la vita, e altrettanto la
danno. Hanno impulsi e lo comunicano. Hanno sensi e sensazioni, idee e memoria.
Da Lettres de Memmius à Cicéron, 1771

Nel corso della storia dell’umanità, la scelta di vita vegetariana è sempre stata abbracciata dai più grandi geni, dai maggiori filosofi, pensatori, artisti, scienziati e anche sportivi: nell’antichità classica i filosofi greci Platone e Pitagora e il latino Seneca, nel Settecento illuminista Voltaire e Jean-Jacques Rousseau, nel nostro secolo il mahatma Gandhi, il commediografo irlandese George Bernard Shaw e il “figlio del vento” Carl Lewis, per citarne solo alcuni.

In Pensieri Vegetariani vengono raccolte tutte le riflessioni e le teorizzazioni che la prolifica attività letteraria di Voltaire ha visto susseguirsi in modo sparso in decenni di pensiero libero e illuminato.

Si va dalle opere filosofiche (Il filosofo ignorante, Trattato di metafisica) ai dialoghi (Dialogo del cappone e della pollastrella), alle lettere (Seconda lettera di Amabed a Shastasid), in un excursus ricco di citazioni tratte dalle maggiori opere del rivoluzionario parigino.

(…) Si può dedurre ciò che si è sempre pensato dall’antichità fino ai giorni nostri, e che tutti gli uomini di buon senso pensano, ossia che gli animali sono dotati di una certa intelligenza.
Dio non stringe un patto con gli alberi e con le pietre, che sono privi di sensibilità, ma ne stringe uno con gli animali, che egli stesso si è degnato di dotare di un sentimento spesso più squisito del nostro, e di alcune idee necessariamente legate a questa sensibilità. Ed è per questa ragione che egli non vuole che si commetta la barbarie di nutrirsi del loro sangue, perché il sangue è sorgente di vita e, dunque, del sentimento.
Dal Trattato sulla tolleranza, 1763

C’è da dire che gli accenni e i riferimenti alla questione animale e al vegetarismo si manifestano nell’opera di Voltaire solo a partire dal 1762, quando il filosofo ha già compiuto sessantotto anni. Brevi e sparsi in opere completamente diverse fra loro per stile e oggetto, i passaggi che Voltaire dedica a tali questioni sono però sufficientemente espliciti per ritenere il filosofo illuminista come il primo pensatore moderno a interessarsi organicamente della questione animalista e vegetariana. Dopo il 1762, invece, gli accenni al tema dell’astinenza dal mangiar carne e dalla crudeltà nei confronti degli animali si fanno sempre più ricorrenti all’interno della sua vasta bibliografia.

Infatti nel celebre Trattato sulla tolleranza del 1763 si trova una significativa apertura rispetto al tema della sofferenza nelle bestie e alla portata etica sollevata dal male inflitto dall’uomo ad altri esseri. Nel Trattato, Voltaire esterna forse per la prima volta il dovere di provare compassione per gli animali da “consumo”:

Bisogna riconoscere che è barbaro farli soffrire; è certamente solo l’abitudine che può diminuire in noi l’orrore naturale che nasce dallo sgozzare un animale che abbiamo nutrito con le nostre mani.

Uno dei suoi scritti forse più integralmente “vegetariani” appare sempre nel 1763, con la pubblicazione del Dialogo del cappone e della pollastrella, un breve dialogo filosofico in cui Voltaire, per bocca di due pennuti che stanno per essere sgozzati da un garzone armato di coltellaccio, esplicita in tutta la sua portata la questione morale e filosofica del vegetarismo e del modo in cui l’uomo si rapporta al dolore degli animali.

“Ma io che sono pacifica, che non ho mai fatto alcun male, che ho nutrito questi mostri, dando loro le mie uova, perché devo essere castrata, accecata, decollata e arrostita?” si chiede indignata la pollastrella che definisce gli uomini detestabile genia.

Il cappone risponde allora pronunciando un dotto excursus storico:

Sappiate, per vostra consolazione (semmai può esservene una) che questi animali, che sono bipedi come noi e che sono molto al di sotto di noi perché non hanno affatto penne, si sono comportati molto spesso in questo modo coi loro simili. (…) Per quanto riguarda l’arrostire la gente, non c’è nulla di più comune presso questa specie. I miei due abati dicevano che erano stati arrostiti più di 20.000 uomini per via di certe opinioni che a un cappone sarebbe difficile spiegare e che, del resto, non hanno alcuna importanza.

Si può affermare che Voltaire critichi pesantemente per questo la posizione cartesiana (Discorso sul metodo, 1637) che riduceva l’animale ad una macchina senza coscienza. In particolare, nel Dizionario filosofico, sottolinea quale vergogna sia stata “aver detto che le bestie sono macchine prive di coscienza e sentimento” e rivolgendosi al vivisettore che seziona un animale nella più assoluta indifferenza, gli chiede:

“Tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento affinché egli non senta?”

Serena Porchera

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