Il futuro? È solarpunk: ecco cosa sostiene il movimento letterario fra giustizia ambientale e sociale

Viaggio nel movimento che, dalla letteratura all’urbanistica fino all’alimentazione, traccia per i tempi a venire un orizzonte diverso, nel segno di una “rivoluzione luminosa” e costruttiva

E se il futuro che ci attende non fosse quello della catastrofe apocalittica tanto cara a certe cronache dei media globali e alle narrazioni distopiche così in voga negli ultimi anni, ma un domani davvero migliore, tutto da immaginare e costruire nel segno dell’inclusività e della giustizia sociale e ambientale? Dalla letteratura alla filosofia passando per la grafica, l’architettura e l’arts and crafts, c’è un movimento di pensiero, nato sulle bacheche di Tumblr una decina di anani fa, che sta conquistando un po’ alla volta arti figurative e forme espressive. Si chiama solarpunk, e il suo nome è tutto un programma: quello di una rivoluzione che si pone in alternativa al dilagare della distopia e del nichilismo e che fa della luce una metafora di positività e atteggiamento costruttivo verso il futuro. E che traccia un orizzonte diverso, nel segno di una “rivoluzione luminosa” alla nostra portata.

In cerca di una exit strategy

Era il 2012 quando in Brasile l’editore Draco pubblicò il volume Solar Punk: Histórias ecológicas e fantásticas em um mundo sustentável, una raccolta di storie poi tradotte in inglese nel 2018, tra il fantastico e la fantascienza, ma “diverse”. È qui, infatti, che per la prima volta, proprio nel campo della fantascienza e dell’immaginazione dei futuri possibili, agli scenari cupi e alle giungle urbane cyberpunk alla Blade Runner e alla Black Mirror si contrappone “un tentativo di costruzione differente, non più basato sulla distruzione, ma sull’indicazione di soluzioni“, spiega lo scrittore Francesco Verso, tra i principali esponenti del solarpunk letterario in Italia ed editore di Future Fiction, casa editrice specializzata in fantascienza e letteratura nativa.

La narrativa inizia a rispecchiare quello che da molto tempo già accadeva nei movimenti, dal Club di Roma degli anni Sessanta a Occupy Wall Street fino a Greta Thunberg e ai Fridays for Future: “La fantascienza si è presa l’onore di provare a immaginare delle exit strategies dall’Antropocene e dal suo corrispettivo economico, il Capitalocene, in un’ottica costruttiva che – sottolinea Verso – non vuol dire banalmente essere ottimisti e faciloni, ma rimboccarsi le maniche per costruire delle alternative plausibili e percorribili“. Di fronte al cambiamento climatico, alle storture del sistema economico e alla dittatura dei big data, la letteratura smette di puntare unicamente il dito e torna all’utopia propositiva ribaltando i canoni sia della narrazione fantascientifica imperante che delle cronache quotidiane: è così che nelle prime storie solarpunk la luce soppianta il buio, la comunità prende il posto dell’individuo e la battaglia dell’eroe protagonista solitario si fa collettiva, che l’inclusività allarga gli orizzonti del pensiero unico.

Un punk solare

Nei fatti, una vera e propria rivoluzione punk e, in questo, anti-sistema, ma che si veste di “solarità”, intesa come atteggiamento costruttivo, democratico e solidale, e anche energeticamente “rinnovabile”.

“Se la ribellione punk porta solo alla distopia, immaginare un futuro peggiore diventa un cul-de -sac, un’abitudine quasi reazionaria”, racconta l’editor Giulia Abbate, tra i fondatori di SolarPunk.it, sito di divulgazione, condivisione e formazione sui temi del solarpunk in tutte le sue forme. “Invece, le storie solarpunk ci riportano a uno scenario utopico, utopia intesa come costruzione filosofica, ma non come evasione: essere solarpunk non significa disertare la realtà, ma aprirne le sbarre per cercare nuove strade che siano veramente percorribili, anche nella pratica quotidiana, per arrivare a un futuro migliore”. Proprio perché ambiente, ecosistemi e cambiamento climatico sono tra le tematiche più care a questo movimento, la “solarità non è solamente la visione di un domani migliore ancora possibile, se facciamo qualcosa, ma anche l’energia rinnovabile vera e propria, il superamento dell’era del petrolio e del consumismo innestato sull’apparente disponibilità di energia e risorse illimitate a basso costo”.

L’estetica “verde”

Prima ancora che in letteratura, il solarpunk ha trovato casa, attraverso siti e bacheche digitali, in altre arti espressive, dall’arts and crafts alla grafica digitale. Ancora poco conosciuta in Italia, sta conquistando campi come la moda, l’urbanistica e l’architettura, nel segno del riuso, del riciclo e della manualità. L’estetica che esprime è, naturalmente, “verde”: partendo da elementi propri delle culture native africane e asiatiche, il solarpunk si è riconosciuto, qui in Europa, nei motivi tutti floreali dell’Art Noveau. Non tanto una sorta di “primitivismo” quanto piuttosto un “biomimetismo: l’ispirazione a materiali, schemi e modelli ispirati alla natura e il loro inserimento nelle infrastrutture urbane, negli edifici pubblici, e nei tessuti dei vestiti – spiega Verso nella post-fazione alla raccolta di racconti provenienti da tutto il mondo Solar Punk. Come ho imparato ad amare il futuro -. Invece di rappresentare la natura con strumenti artificiali, si imitano i suoi processi naturali”. E lì, nella forma che si fa anche sostanza, che scienza e tecnologia diventano mezzi positivi attraverso i quali cercare risposte ai grandi problemi della contemporaneità.

Inclusività e antispecismo

Fortemente inclusivo, ecologista, anarchico, femminista, queer, antiabilista e antirazzista, il movimento solarpunk ha in qualche modo dentro di sé anche il seme dell’antispecismo. “Una cultura solarpunk dovrebbe cercare di dissolvere ogni forma di gerarchia sociale e di dominio – sia essa basata su classe, razza, genere, sessualità, abilità o specie, disperdendo il potere che alcuni individui o gruppi esercitano su altri e aumentando così la libertà aggregata di tutti”, si legge nell’articolo What is solarpunk, una delle prime riflessioni teoriche sul movimento pubblicata online nel 2016. Qui si evidenzia come, tra le radici del solarpunk, ci siano le eredità di varie correnti di pensiero e movimenti, dal socialismo al femminismo, compreso l’anti-segregazionismo animale.

In quello che è, di fondo, il necessario “ripensamento radicale del rapporto tra essere umano e natura, stiamo arrivando al tema animalista, anche in Italia: è un dibattito in corso sia sul piano della speculazione filosofica, che della pratica – ci conferma Abbate -. Il solarpunk, in tutte le sue forme, porta il dibattito sulle cose che si possono fare quotidianamente quindi anche sugli stili di vita: mettersi contro gli allevamenti intensivi, ragionare sui sistemi di produzione del cibo, proporre modelli alimentari differenti, sapere cosa c’è nel tuo piatto e magari autoprodurlo sono questioni che non possono essere ignorate, se vogliamo davvero immaginare un futuro possibile. Poi – sottolinea – non crediamo nella narrazione secondo la quale tutto dipenda da quello che mettiamo nel carrello perché questo significa scaricare sul singolo responsabilità e questioni che sono anche di natura politica globale”.

Lo scenario possibile: una società nomade, solare, creativa

Non è, dunque, un caso che il primo romanzo solarpunk tutto italiano, I Camminatori, pubblicato nel 2021 da Francesco Verso, parli anche di alimentazione, nella sua concatenazione con temi quali sedentarietà, lavoro e modello sociale: “Ho provato – racconta l’autore – attraverso una narrazione molto complessa, a scardinare l’alimentazione immaginando come i protagonisti della storia, attraverso delle nanomacchine, riescano a mangiare non più tre volte al giorno, ma una volta al mese, e come questo potrebbe cambiare di conseguenza la nostra vita”. I Camminatori, lungo romanzo in due volumi, è il racconto di una mutazione antropologica causata dalle macchine, ma anche, conclude Verso, di come “il declino della nutrizione umana avrà come conseguenza la nascita di una cultura nuova, anche se per certi versi antica: una società nomade, solare, creativa”. Il futuro possibile, a pensarci bene, non potrà prescindere, anche, da cosa e come decideremo di continuare a mangiare.

 

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