Avete mai letto “Jurassic Park”? È un libro ecologista

La storia del libro all’origine del kolossal di Spielberg, un vero e proprio manifesto ecologista che racconta della tracotanza dell’uomo e di un certo tipo di approccio scientifico alla natura

Il primo fu Arthur Conan Doyle. Nel 1912 l’autore di origini scozzesi divenuto universalmente noto per il suo detective Sherlock Holmes (che detestò cordialmente), decise che il professor Challenger dovesse misurarsi con un’avventura ai limiti dell’impossibile: andare alla ricerca di un’area incontaminata del Sud America nella quale, per ragioni climatico-geologiche, i dinosauri prosperavano ancora indisturbati (accompagnati dagli uomini scimmia, ma questo è un altro discorso…). Il libro si chiamava “Il mondo perduto”. Questo romanzo eccezionale – fra i migliori libri d’avventura che possiate leggere tutt’ora – ha dato il via a una serie di storie direttamente o indirettamente ispirate a esso fra le quali, chiaramente, c’è anche “Jurassic Park” dell’americano Michael Crichton.

Come spesso accade quando ci mette lo zampino il cinema, il film è senza dubbio più famoso del libro, anzi, molti potrebbero credere che ne sia solamente una trasposizione, ma così non è. “Jurassic Park” era già nella mente di Crichton mentre scriveva la sceneggiatura per una serie americana di discreto successo (vi dice niente “E.R. Medici in Prima Linea?”). L’idea era buona: Spielberg, che della serie ospedaliera era produttore esecutivo insieme allo stesso Crichton, non si fece ripetere due volte la trama di quella storia fantastica, tra dinosauri e misteriose isole nebbiose, e promise all’amico che quello sarebbe senza dubbio diventato un film.

Il libro, però, contiene molto di più del colossal americano da 618 milioni di dollari al botteghino. “Jurassic Park”, infatti, potrebbe diventare senza problemi un semplice ed efficace manifesto ecologista che racconta della tracotanza dell’uomo e di un certo tipo di approccio scientifico alla natura.

Il matematico filosofo

Il nostro eroe non è un T-Rex (o meglio una T-Rex, dato che tutti i dinosauri su Isla Nublar erano femmine, o meglio così credono gli scienziati che li hanno clonati), bensì Ian Malcom, matematico strenuo difensore della teoria del caos. È John Hammond, il “papà” del parco a tema giurassico, a volerlo nel suo team come consulente per quella grandiosa impresa che in cinque anni di lavoro matto e disperato dovrebbe ricreare una porzione di mondo perduto nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, a pochi chilometri dalle spiagge del Costa Rica. Malcom, eccentrico e intelligente, accetta l’incarico diventando, però, una gigantesca spina nel fianco di Hammond che nel libro è un terrificante vecchio borioso, egoista e speculatore (niente a che vedere, quindi, con il tenero e un po’ ingenuo nonno John del film). Malcom, secondo la critica letteraria, è la voce dello stesso Crichton: quello che sta accadendo a Jurassic Park è “un incidente che deve ancora verificarsi“.

Il controllo della natura

“Quello che definite natura è di fatto un sistema complesso, assai più intricato di quanto noi non vogliamo ammettere. Ci costruiamo un’immagine semplificata della natura e poi combiniamo pasticci”. Il matematico del romanzo dà voce a riflessioni di grandissima attualità o, meglio, a teorie che ci mostrano come le tematiche legate al tentativo di controllo, modificazione e sovvertimento della natura siano sempre state ben presenti nel dibattito pubblico, anzi persino nei romanzi d’avventura (ben prima di Greta Thunberg, per intenderci). Leggete qui: “Negli ultimi anni in Costa Rica le scoperte di nuove specie aumentavano per una triste ragione. Col procedere del disboscamento, le specie della giungla, private del loro habitat, si spostavano in altre zone talvolta cambiando persino abitudini”. Vi ricorda qualcosa?
Malcom è furioso, inoltre, davanti all’idea di una scienza che crea animali prigionieri fin dalla nascita, senza pensare minimamente alle conseguenze. I dinosauri, infatti, sono geneticamente creati per essere dipendenti dall’uomo a causa dell’impossibilità, al di fuori del parco, di trovare nutrienti adatti al loro metabolismo inventato di sana pianta. È il dottor Wu, ingegnere genetico del parco, a spiegare chiaramente il concetto: “Questi animali, signor Malcom, non sono liberi per niente. Sono sostanzialmente nostri prigionieri”. Anche qui, la riflessione è enorme se pensiamo, ad esempio, che lo stesso paradigma è applicato agli animali d’allevamento, completamente modificati, selezionandoli, al fine di essere più interessanti economicamente per l’uomo, proprio come i dinosauri in versione “zoo” di Hammond.

L’uomo può “produrre” ma non può controllare davvero

“La scienza ci ha offerto la prospettiva di un controllo totale“, dice Malcom al paleontologo Alan Grant, anche lui ingaggiato da Hammond come consulente per il progetto. “Decidi di tenere la natura sotto controllo, e dal quel momento sei in un grosso guaio, perché non lo puoi fare“.
Se è vero che nel romanzo l’approccio di Crichton è quello di un attacco per nulla velato a un certo tipo di scienza, ossia quella delle pubblicazioni scientifiche a tutti i costi, senza base etica e che non si cura minimamente delle conseguenze della propria smania di controllo, dall’altra parte queste considerazioni hanno un sapore estremamente contemporaneo, soprattutto nelle loro conclusioni, che appaiono, oggi più che mai, un monito implacabile: “La vita sopravviverà alla nostra follia. Solo noi pensiamo di no. Il pianeta non è in pericolo. Noi siamo in pericolo. Non abbiamo il potere di distruggere il pianeta o di salvarlo. Ma abbiamo il potere di salvare noi stessi”. C’è poco da aggiungere.

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