Report Ipcc 2023, è l’ultima chiamata: ecco i punti fondamentali del documento

Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, lo ha definito “una guida per disinnescare la bomba a orologeria del clima”.

“Questo Rapporto sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti”. Queste sono le parole del presidente dell’IPCC Hoesung Lee in relazione alla pubblicazione Rapporto IPCC 2023, l’ultimo che verrà pubblicato prima del 2030, data entro la quale dovranno essere messe in atto le azioni necessarie per evitare l’innalzamento delle temperature medie globali al di sopra di 1,5 °C. Dopo questa data sarà troppo tardi per evitare questo temibilissimo traguardo che era stato fissato durante la conferenza di Parigi del 2015. Questo dell’IPCC, Gruppo intergovernativo scientifico sul cambiamento climatico nato nel 1988, è il sesto ciclo di valutazioni sulla crisi climatica pubblicato dalla sua fondazione.

Perché questo report e il suo appello sono così importanti

Potremmo definirla “ultima chiamata” ed è in effetti questo che significano i dati presentati nel report: gli anni che ci separano dal 2030 sono gli ultimi per poter dimezzare le emissioni di gas serra mondiali per evitare di superare la soglia dell’aumento delle temperature di 1,5 °C rispetto all’era pre industriale. La partita si gioca soprattutto nei paesi in via di sviluppo perché, nel frattempo, le emissioni dell’Europa e degli Stati Uniti sono in calo, ma è chiaro che tutto il danno generato dall’Occidente negli anni precedenti non può essere ora solo a carico di questi paesi che dovrebbero “smettere di crescere” per il bene comune.

Le conseguenze di un aumento di mezzo grado centigrado in più rispetto alla soglia definita a Parigi porterebbe a conseguenze catastrofiche, come per esempio:

  1. con un aumento di 2 °C:
  • diminuzione della produzione agricola del 7%;
  • popolazione interessata da ondate di calore 37%;
  • barriere coralline completamente perse;
  • raddoppio del tasso di estinzione delle specie animali.

2. con un aumento di 1,5 °C :

  • diminuzione della produzione agricola del 3%;
  • popolazione interessata da ondate di calore 14%;
  • 1/3 delle barriere coralline salve;
  • tassi più bassi di estinzione delle specie animali.

Il rapporto fa notare inoltre che “Quando i rischi si combinano con altri eventi avversi, come pandemie o conflitti, diventano ancora più difficili da gestire.”

Ci sono delle possibilità concrete?

Secondo l’IPCC le possibilità ci sono anche se lo sforzo politico e tecnologico dovrebbe essere enorme. Prima buona notizia, infatti, è che le tecnologie che potrebbero fare la differenza ora costano inaspettatamente molto meno del previsto e, secondo elemento non meno fondamentale, c’è una cospicua presenza di capitali che potrebbero essere investiti proprio sul fronte della transizione ecologica (soprattutto nei paesi in via di sviluppo) ma che, al momento, sono utilizzati in modo completamente inefficiente.

Grafica tratta dal Rapporto FAO 2017 – Emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi divisi per regioni del mondo per per tipo di animale allevato: quelli più impattanti sono i buoi, seguiti dai vitelli da latte e i maiali

Che fare?

“I cambiamenti nel settore alimentare, nell’energia elettrica, nei trasporti, nell’industria, negli edifici e nell’uso del territorio possono ridurre le le emissioni di gas serra – si legge nel Rapporto –  allo stesso tempo, possono rendere più facile per le persone condurre stili di vita a basse emissioni di carbonio, migliorando anche la salute e il benessere. Viviamo in un mondo eterogeneo, in cui ognuno ha responsabilità diverse e diverse opportunità di produrre un cambiamento. Alcuni possono fare molto, mentre altri avranno bisogno di un supporto che li aiuti a gestire il cambiamento”. Insomma una visione di cooperazione e di passi pratici e non è da sottovalutare il fatto che nella sintesi, il primo posto nell’elenco delle azioni pratiche sia affidato al settore alimentare. Sì, perché soprattutto in Occidente, i metodi di produzione alimentare e i loro impatti nel resto del mondo sono enormi. Gli allevamenti intensivi sono un nodo cruciale in relazione alle emissioni sia in modo diretto ma anche in modo indiretto a causa del tasso di deforestazione e di uso delle risorse idriche.

Gli allevamenti intensivi e il clima

Secondo il report della FAO del 2017 sulla relazione fra clima e allevamento intensivo il 14,5% delle emissioni di gas serra di origine antropica arrivano proprio dal settore, con un totale di emissioni per 7,1 gigatonnellate all’anno. Questo ultimo dato può essere messo a confronto con il nostro carbon budget attuale, ossia la quantità di emissioni di gas serra che potremmo emettere entro il 2030 per rimanere nella soglia dei 1,5 °C: 380 gigatonnellate. Ecco perché anche le scelte alimentari intese politicamente ma anche singolarmente sono importanti: la cultura di una nuova alimentazione più sostenibile tocca ognuno di noi.

 

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