Moda etica: il cruelty free è (finalmente) glam

La moda cruelty free si scopre glamour: ecco quali sono le nuove tendenze e come comportarci da consumatori.

moda etica

Etico e cruelty free non sono sinonimo di chip, o almeno, non più. Mentre la ricerca sui materiali vegetali segna ogni giorno nuovi traguardi, designer e stilisti sembrano aver scoperto un nuovo mondo, quello di una moda cruelty free sempre più glam.

Ne abbiamo parlato con Stefania Depeppe, fondatrice di EthicalCode.com, progetto che punta a raccontare sul web brand e designer sia italiani che internazionali che nella creazione di capi di abbigliamento e accessori hanno deciso di porsi il problema della non violenza verso gli animali. “Siamo in un momento di grande ascesa della moda cruelty free, che arriva come sempre dall’estero, dove sono sempre un po’ più avanti a noi perché c’è più richiesta e forse anche perché ci sono molte star hollywoodiane vegane che catalizzano l’attenzione sul tema”, racconta.

Le nuove tendenze esprimono una grande attenzione per l’uso di fibre e tessuti 100% vegetali: “Siamo passati da materiali cruelty free, come il poliuretano o la plastica riciclata, a materiali completamente vegetali e biodegradabili, come la seta di soia o la lignea, un materiale in legno lavorato con un effetto molto simile all’ecopelle con il vantaggio di essere completamente biodegradabile”. Poi, ci sono i tessuti in fibra di ortica, usati al posto della seta per l’underwear, o quelli in alga, che hanno la peculiarità di rilasciare sulla pelle sostanze con effetto nutriente. “Oggi – osserva la fondatrice di Ethical Code – abbiamo tantissime alternative meravigliose con vantaggi incredibilmente superiori alla pelle, tessuti traspiranti, che non si macchiano e sono anche più leggeri, oltre a essere ovviamente cruelty free”.

Materiali a parte, a segnare una svolta è l’approccio usato dagli addetti ai lavori: “Soprattutto tra i giovani c’è grande creatività e voglia di cambiare. Le linee proposte da stilisti e designer– racconta ancora Depeppe – seguono le tendenze proposte sulle passerelle”. Insomma, sono finiti i tempi nei quali bisognava andare in giro con le scarpe di tela ai piedi anche in inverno perché non c’erano alternative: “Vediamo sempre più un taglio estetico glam su una moda che spesso viene paragonata a una moda chip. Ora non è più così. Anche da parte degli artigiani c’è una grande apertura a lavorare materiali nuovi: è il know how artigianale italiano che incontra le ultime tendenze che arrivano dall’estero”.

Ma qual è il prezzo da pagare se si vogliono acquistare capi vegan? “Non è detto che la moda vegana costi di più. Dipende da quello che si cerca. Spesso, parliamo di prodotti artigianali, fatti a mano, con materiali molto ricercati e linee disegnate da stilisti. Per delle belle scarpe, per esempio, il costo si può aggirare tra i 100 e i 150 euro: non so fino a che punto si spenderebbe meno acquistando un paio di scarpe di pelle di buona qualità, sapendo oltretutto che derivano dall’uccisione e dallo sfruttamento di animali”. Per il momento siamo difronte, quindi, a un’offerta di livello medio-alto: “La domanda è ancora troppo limitata perché si possa pensare a un’offerta a prezzi più contenuti. Per questo – sottolinea Depeppe – in questo fase è importante lavorare per spostare il mercato: più cresce la domanda più i prezzi si abbassano”.

Un atteggiamento “pragmatico”, da questo punto di vista, consiglia la fondatrice di Ethical Code, potrebbe essere quello “di non escludere a priori marchi che affiancano linee cruelty free a prodotti che ancora non lo sono. Solo se le aziende trovano un mercato che progressivamente si amplia – osserva – contribuiamo tutti a spostare sempre più la domanda verso proposte cruelty free“.

Da consumatori, il consiglio è quello valido anche per i prodotti alimentari, ovvero “leggere sempre le etichette per sapere cosa è e come è fatto ciò che si sta acquistando, oltre ad affidarsi a certificazioni come Animal Free Fashion, promossa dalla Lav per indicare brand italiani e stranieri che non usano prodotti di derivazione animale. Infine – conclude Depeppe – ricordarsi che spendere un po’ di più a volte può voler dire spendere meglio, se ciò non comporta sofferenza e uccisioni di animali”.

Silvia De Bernardin

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