“Mangiare la terra”, Kemmerer: “Non tutti possono essere vegani”

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“Mangiare la terra” di Lisa Kemmerer è il titolo di un nuovo libro pubblicato in Italia da Safarà editore: l’autrice è professoressa di filosofia presso l’Università del Montana è una famosa attivista per i diritti degli animali che da anni tiene conferenze e lectio in giro per gli Stati Uniti. Noi di Vegolosi.it abbiamo raggiunto l’autrice per farle qualche domanda, per capire se e quanto la nostra alimentazione sia realmente legata ai problemi ambientali degli ultimi anni e cosa possiamo fare, concretamente, per salvare l’unico pianeta che abbiamo.

La questione della responsabilità è molto significativa nel suo libro: cosa significa nel 2016 essere responsabili delle proprie scelte alimentari?

Se vogliamo essere responsabili nelle nostre scelte alimentari, dobbiamo fare la scelta che provoca il minor danno: l’etica richiede che, se siamo di fronte alla possibilità di provocare più sofferenza o il maggiore impatto ambientale, dobbiamo scegliere l’opzione meno impattante. “Mangiare la Terra” mostra come una dieta che include carne, uova, latticini provochi molte più sofferenze e danni rispetto a una dieta a base vegetale. Ma l’etica è una scelta, quindi questo significa anche che coloro che non hanno possibilità di scelta non possono essere accusati o criticati per il fatto di consumare tutto ciò che è accessibile in quel momento o in quella situazione.

Quindi non tutti posso diventare vegani, giusto?

Noi tutti dobbiamo mangiare per vivere, e non tutte le persone possono scegliere cosa mangiare: ci sono persone che non hanno le risorse finanziarie o la disponibilità per scegliere tra vari alimenti. D’altronde, come si può biasimare una persona che mangi ciò che ha a portata di mano? Ma certamente chiunque abbia possibilità di scelta è moralmente responsabile: è necessario optare per una dieta a base vegetale perché provoca meno sofferenza e minor impatto ambientale di quanto non faccia una dieta che includa carne (compreso pesce e pollo), latticini o uova.

Il compito del filosofo è, in alcuni casi, di immaginare scenari futuri: crede che si sia intrapresa la strada per un mondo vegan, o è solo un’utopia?

Per tantissimo tempo l’uomo si è nutrito quasi esclusivamente di piante, in particolare cereali: mais, patate, frumento e riso sono sempre stati le basi per lo sviluppo della civiltà umana. È vero, i popoli più ricchi includevano nei loro piatti anche piccole quantità di carne o di prodotti lattiero-caseari e uova, ma queste erano – appunto – piccole quantità. È solo in tempi recenti che tanti esseri umani hanno iniziato a consumare quantità così grandi di carne; negli Stati Uniti possiamo notare che l’alimentazione basata su prodotti animali influisce sulla salute e, tra l’altro, è evidente che non si tratti di una scelta naturale per l’uomo. Mangiare prodotti di origine animale, infatti, è strettamente collegato con i nostri problemi di salute più gravi e mortali (quali ictus, attacchi di cuore, cancro, obesità e diabete, per esempio). È anche vero che piccole porzioni di umanità sono rimaste più vicino a questa dieta originale: l’India, ad esempio, è stata latto-vegeratariana per secoli; i Buddisti Zen sono stati vegan in Giappone per un lungo periodo di tempo, così come hanno fatto i Taoisti in Cina. Tornare a una dieta a base vegetale significa approcciarsi di nuovo alla dieta che è stata propria dell’uomo per un tempo molto lungo. Questa, quindi, non è tanto una visione utopica quanto un ritorno ad una dieta che oggi possiamo riconoscere come più sostenibile di altre: una dieta a base di ingredienti animali sta uccidendo noi e il nostro pianeta, quindi abbiamo bisogno di ripensare in fretta a questo nostro recente cambiamento alimentare.

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Quanto è efficace l’attivismo nel percorso che dovrebbe portare a informare e sensibilizzare sui problemi riguardanti il consumo di carne e latticini nel mondo?

Perché l’attivismo sia efficace, chi lo pratica deve essere informato e disposto a condividere ciò che sa. Inoltre, gli altri devono essere disposti ad ascoltare nuove informazioni e soprattutto disposti a cambiare modo di agire. Ho investito centinaia di ore di ricerca per scrivere il mio libro “Mangiare la Terra” che deve essere visto come il lavoro di uno studioso preoccupato per l’ambiente e per la salute e il benessere degli altri. Ora spero che coloro che leggono queste informazioni siano persone aperte, desiderose di imparare quale sia l’impatto della nostra dieta sul pianeta e disposti ad apportare le necessarie modifiche ai propri consumi sulla base di queste informazioni. In realtà questo cambiamento è molto facile, perché la gente non dovrebbe metterlo in atto? Moltissime persone pensano al vegan come a un’alimentazione fatta di rinunce, ma la maggior parte dei vegani trovano la loro dieta più interessante di quanto non fosse quando consumavano carne, latticini e uova. In più, oggi ci sono alternative vegan accanto agli alimenti fatti di latte e carne, in modo che i vegani possano ancora mangiare alimenti “tradizionali” senza però causare danni terribili al pianeta (o agli animali da allevamento!). Viviamo in cultura fatta di domanda e offerta: quando i consumatori chiedono prodotti vegani, questi diventano sempre più disponibili, gustosi e anche più vari. Detto ciò, che motivo avrebbe l’attivismo per non essere efficace?

Lei parla anche del rapporto tra religione e abitudini alimentari: quale ruolo ha e cosa significa la parola “etica” in questo contesto?

Tutte le grandi religioni del mondo insegnano la compassione, non una incoraggia la crudeltà, l’avidità, o l’indifferenza. Dato il danno ambientale causato dalla pesca, dall’allevamento e dalla caccia, mangiare carne, latticini e uova – quando abbiamo altre opzioni disponibili – è sinonimo di indifferenza. In questo contesto l’etica religiosa è certamente molto importante per aiutare le persone a passare ad una dieta a base vegetale. Date le informazioni che io riporto in “Mangiare la Terra”, coloro che sono sinceri nel loro impegno per una visione spirituale del mondo che includa anche la compassione e la responsabilità sociale, non possono che diventare vegan.

Lei ha spesso rappresentato un terreno comune tra il femminismo e l’attivismo riguardante il cibo: ci può spiegare questo rapporto?

Le femministe lottano per proteggere i propri diritti, per mantenere i poteri politici e per evitare che altri possano decidere quando e se le donne possano avere figli. E perfino nell’ambito dell’allevamento coloro che detengono il potere effettuano una manipolazione nei confronti del sesso femminile: le scrofe, per esempio, sono costrette a partorire ripetutamente maialini che gli vengono subito portati via e utilizzati per produrre pancetta. Le galline, invece, sono ammassate in minuscole gabbie e la loro biologia è manipolata in modo che depongano circa 300 volte il numero di uova che produrrebbero in natura. Le mucche, poi, vengono ingravidate artificialmente per produrre latte (perché, lo sappiamo, i mammiferi producono latte solo dopo aver partorito), e i loro cuccioli vengono subito allontanati da loro, appena nati, in modo che gli esseri umani possano rubare indisturbati il loro latte e venderlo, destinandolo al consumo umano. Questo è lo sfruttamento crudele della biologia femminile nel capitalismo.

Dopo il successo mondiale di “Cowspiracy”, che ha mostrato chiaramente quanto spesso l’ambientalismo abbia poco a che fare con l’alimentazione, ci può spiegare perché questi due mondi sono spesso così lontani?

Accanto a “Mangiare la Terra” ho messo insieme un’antologia dal titolo “Animali e Ambiente”, che si concentra sulla divisione tra coloro che lottano per l’ambiente e coloro che si battono per gli animali. Questa separazione ha una storia complicata, ma la risposta più semplice è che è nell’interesse degli ambientalisti  prendere le distanze dai vegani in un mondo in cui è la norma consumare grandi quantità di prodotti lattiero-caseari, di carne e uova. Ma con le informazioni riportate nel mio libro e in “Cowspiracy”, sta diventando sempre più noto che ogni ambientalista sincero e informato debba essere vegan.

Cosa le fa più paura del mondo che vede intorno a lei?

La mia più grande preoccupazione per il futuro è l’apatia umana. La più grande minaccia odierna è il danno che continuiamo a fare al pianeta da cui dipendiamo, ed è ormai chiaro ed evidente come la prima causa di questo degrado ambientale sia la nostra alimentazione. Solo l’indifferenza può impedirci di fare questo passaggio, relativamente semplice, a una dieta vegana. Tra l’altro sono particolarmente stupita dal fatto che le persone che hanno figli continuino a portare avanti scelte alimentari che contribuiscono ai cambiamenti climatici e alla riduzione dell’acqua dolce disponibile. Come si può avere dei figli e non riuscire a diventare vegani, riducendo drasticamente il proprio impatto ambientale?

Che cosa, invece, la rende più ottimista?

Sono ottimista perché i libri come “Mangiare la Terra” e documentari come “Cowspiracy” sono ora disponibili per diffondere la verità: se si ha a cuore la terra e chi ci sta intorno, si deve necessariamente diventare vegani. Ed editori come Safarà stanno traducendo queste informazioni in altre lingue per raggiungere quante più persone possibili. Questo mi dà grande speranza!

Qual è il suo piatto preferito?

Ho sempre amato la pasta con salsa al pomodoro, ma quando ho visitato l’Italia ho imparato che la pasta italiana è ancora meglio di quanto avessi mai immaginato a casa.


cover-mangiare-la-terraLisa Kemmerer
Mangiare la terra. Etica ambientale e scelte alimentari.
Safarà editore
Euro 19,50

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