Perché scegliere è così difficile? Alla base esiste un paradosso

Imparare a scegliere è difficile. Imparare a scegliere bene in un mondo di possibilità infinite è ancora più difficile, forse troppo. Due studiosi ci svelano come sfuggire alla tirannia della scelta che, invece di liberarci, ci incatena

di Francesca Isola

Possiamo passare minuti a sfogliare il catalogo infinito di film, serie e documentari su Netflix ma alla fine, sopraffatti dalle possibilità, rinunciamo e spegniamo la tv. Troppa scelta ci paralizza. Durante il suo Ted del 2005, lo psicologo Barry Schwartz ha spiegato che il dogma delle società industriali è che il modo per massimizzare la libertà è massimizzare la scelta ovvero che più scelte le persone hanno, più sono libere e felici. La società contemporanea glorifica la scelta e presenta l’individuo come padrone assoluto della sua vita, libero di determinarne ogni aspetto. Ma non è così.

Il paradosso della scelta

Nel suo libro The Paradox of Choice: why more is less (HarperCollins, 2009), Schwartz ha illustrato ciò che è appunto il paradosso che la scelta comporta ovvero come un surplus di alternative abbia in realtà più effetti negativi che positivi: “Tutta questa scelta […] produce paralisi invece che liberazione. […] anche se riusciamo a evitare la paralisi e fare una scelta, alla fine siamo meno soddisfatti del risultato di come saremmo stati con meno opzioni fra le quali scegliere”.

Uno studio americano ha rilevato infatti che una vasta gamma di alternative può scoraggiare i consumatori perché li costringe a uno sforzo maggiore. Nello studio, a due gruppi di studenti è stato chiesto di valutare due diverse scatole di cioccolatini. Al primo gruppo è stata data una scatola con 6 cioccolatini, al secondo una con 30. E il risultato è stato che gli studenti che dovevano valutare solo 6 cioccolatini erano molto più soddisfatti di quelli avevano una scelta più vasta.

Scegliere non è più quindi una benedizione, ma un fardello. Troppe alternative rendono le persone infelici e Schwartz ha individuato diverse cause: in primis, il rimpianto, che diminuisce la soddisfazione ricavata dalla decisione presa. C’è poi il problema delle alte aspettative, che sono state gonfiate dalla società, e che non possono che portare a esperienze deludenti. Infine, c’è l’autocolpevolizzazione. Con tutte queste opzioni disponibili, non ci sono più scuse per l’insuccesso. Così, quando prendiamo una decisione e ci sentiamo insoddisfatti, ci convinciamo che la colpa sia solo nostra.

Scelte e società

La sociologa Renata Salecl, nel suo La tirannia della scelta (Laterza, 2013), sottolinea come la paura di fallire, il senso di colpa e il rimorso contribuiscano al carattere tirannico della scelta. Senza dimenticare poi che “lungi dall’essere individuali, in realtà le scelte sono di frequente soggette all’influsso decisivo della società in cui viviamo”.

Difatti, le nostre decisioni sono influenzate non solo dalle scelte che fanno gli altri, ma anche dal significato che la società nel complesso dà alla decisione. La sociologa illustra inoltre come il successo dell’ideologia della scelta abbia “reso le persone cieche di fronte al fatto che le scelte effettive vengono gravemente limitate dalle divisioni sociali, e che questioni quali l’organizzazione del lavoro, la salute, la sicurezza, e l’ambiente si allontanano sempre più dalla loro scelta“.

Imparare a scegliere

“Dopo milioni di anni di sopravvivenza basata su semplici distinzioni, può semplicemente essere che siamo biologicamente impreparati per il numero di scelte che abbiamo di fronte nel mondo moderno“, osserva Schwartz, sottolineando tra l’altro l’esistenza di determinati ambiti in cui prendere una decisione è particolarmente ostico. Schwartz parla di “autonomia del malato” per indicare il fatto che la medicina di oggi esalta l’idea dell’autodeterminazione e i medici spesso si limitano a illustrare al paziente le alternative che ha, delegando a lui, che non è di sicuro nella condizione ideale per prendere decisioni, scelte fondamentali.

È vero però che la scelta è una capacità umana essenziale e che volenti o nolenti siamo costretti a farci i conti quotidianamente. Come fare allora per sfuggire alla sua tirannia?

Schwarz parla del concetto di soddisfazione, introdotto dal premio Nobel per le scienze economiche Herbert Simon, secondo cui, se si tiene conto della fatica e del tempo necessario per prendere una decisione, la soddisfazione è la strategia migliore. A differenza del massimizzatore, che vuole solo il meglio ma alla fine non è mai felice, il soddisfatto vive sereno senza preoccuparsi di ciò che avrebbe potuto essere. Lo psicologo americano invita quindi a tre esercizi che potrebbero sembrare paradossali: abbassare le aspettative, prendere decisioni irreversibili e amare le restrizioni. Perché? Innanzitutto perché con modeste aspettative si vive meglio e standard troppo alti non possono che deluderci. Inoltre, quando possiamo cambiare idea sulle decisioni, siamo meno soddisfatti di esse, quindi via libera alle decisioni irreversibili verso cui ci impegniamo maggiormente. Infine, le restrizioni ci rendono più liberi perché, limitando le alternative, possono aiutarci a rendere la vita più gestibile. Basti pensare ai legami sociali. Di fatto diminuiscono la libertà e l’autonomia di un individuo. Al tempo stesso però avere strette relazioni sociali è uno dei fattori più determinanti per la felicità di ognuno. “Per quanto possa sembrare controintuitivo, – nota Schwartz – ciò che sembra contribuire di più alla felicità ci lega piuttosto che liberarci”.

Infine, scegliamo quando scegliere. Non tutte le decisioni hanno la stessa importanza ed è bene concentrare le proprie energie solo su quelle davvero importanti. Per vivere più sereni, con meno ansia e meno scelte.

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