Il termine vegan è ambiguo? Il sostituto è plant-based

Il termine “vegan” è troppo politicizzato e quindi controproducente? Se lo chiede Rachel Clarke, esperta di digital marketing e comunicazione.

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Il termine “vegan” può risultare ambiguo, meglio usare “plant-based”? Se lo domanda Rachel Clarke, esperta di digital marketing, social media e comunicazione in un interessante contributo diffuso su Linkedin.

Vegan e marketing

Secondo una ricerca della Mintel, leader nelle ricerche di marketing, oggi circa il 12% della popolazione in Inghilterra si identifica come vegana o vegetariana. Più della metà delle persone intervistate, inoltre, ritiene che un’alimentazione plant-based (vegetale) sia più salutare: avrebbero detto lo stesso se il termine in questione fosse stato “alimentazione vegana”? Secondo la Clarke molte campagne di marketing oggi cercano di indirizzare i consumatori su alcuni aspetti negativi come gli svantaggi del mangiare latticini o le torture perpetrate ai danni degli animali: analizzando questo dato in ottica marketing il tutto può risultare poco funzionale. Dire ai consumatori cosa non mangiare e dove non comprare non è abbastanza utile, lo è di più fornire alternative positive nel modo giusto e con i giusti toni: il termine “vegan”, continua l’esperta, viene infatti troppo spesso associato a un attivismo un po’ estremo che crea sospetti e/o sfiducia da parte delle persone.

Il boom di un nuovo termine

Nel primo frangente del 2016, però, è evidente come il termine “plant-based” stia prendendo piede: basta entrare in un social media e digitare l’espressione per imbattersi in un ricco bagaglio di contenuti, ricette, prodotti e immagini. Per valorizzare il suo pensiero, la Clarke porta alla nostra attenzione alcuni esempi. Ella Woodward, diventata famosa con il suo blog, adesso è un’autrice di riferimento, ha realizzato un’app ed è proprietaria di un negozio di alimentari: anche se tutte le ricette del suo libro sono consumabili dai vegani, lei non si è mai definita tale. O ancora una campagna come quella di Veganuary, che incoraggia le persone a provare un’alimentazione vegan a gennaio per l’avvio di un nuovo anno più salutare, e gennaio appena trascorso utilizza anche sui post di Instagram più frequentemente il termine “plant-based”.

Con sempre più persone interessate a un’alimentazione vegana, il termine “vegan” continuerà a essere di riferimento o verrà soppiantato? Tutto questo porterà a due separate ideologie o invece a un connubio profondo? Il termine “plant-based” indica e implica un approccio più soft e accettabile dalla maggioranza delle persone al mondo vegan? Sono domande interessanti che si pone e ci pone Rachel Clarke, lasciando la questione – come è normale che sia – irrisolta.

Può sembrare un confine labile, e magari lo è. Ma la questione sollevata dall’autrice è interessante e rimanda a una significativa idea di fondo: i termini e il modo di fare comunicazione sono importanti.

Yuri Benaglio 

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