Greenpeace contro Cowspiracy: “Documentario scorretto”

Dopo l’editoriale pubblicato dal direttore de l’Internazionale che aveva citato Cowspiracy, la nota associazione ambientalista risponde per le rime: ecco cosa è successo.

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Cowspiracy è un documentario scorretto” tuona Andrea Pinchera, direttore della comunicazione di Greenpeace Italia dalle pagine di “Internazionale”, in risposta all’editoriale pubblicato dal direttore della testata Giovanni De Mauro. Ma cosa è successo esattamente? Cerchiamo di ricostruire le tappe principali della faida che si è scatenata in questi giorni.

Il documentario

Cowspiracy è un documentario realizzato da due registi californiani, Keegan Kuhn e Kip Andersen, nel 2014 grazie al crowdfunding. Con il tempo è diventato un caso, sino all’intervento di Leonardo Di Caprio, che lo ha reso disponibile in tutto il mondo tramite la piattaforma Netflix. Cowspiracy indaga sulle organizzazioni ambientaliste che si occupano degli allevamenti intensivi di animali: pur sapendo che queste strutture inquinano in maniera pesante, secondo i registi le organizzazioni (vengono coinvolte, a vario titolo, Greenpeace, Sierra Club, Surfrider Foundation e Rainforest Action Network) non fanno tutto quello che sarebbe in loro potere, spesso per paura, per vicende politiche o per interessi economici.

Tappa al Parlamento Europeo

Il 2 dicembre 2015 Cowspiracy viene proiettato al Parlamento Europeo e presentato dallo stesso Kip Anderson, che partecipa anche alla tavola rotonda seguente alla proiezione. Prosegue dunque ai massimi livelli il tour mondiale del documentario, che ha fatto tappa anche a Milano (e noi di Vegolosi.it c’eravamo…).

La polemica

Arriviamo quindi allo scorso 19 maggio, con l’editoriale pubblicato dal direttore de l’Internazionale Giovanni De Mauro. L’editoriale parte da un dato allarmante: l’aprile appena trascorso è stato il più caldo dal 1880. Quali possono essere le cause di un cambiamento sempre più evidente? De Mauro cita quindi Cowspiracy. Ecco un estratto:

Il documentario Cowspiracy, di Kip Andersen e Keegan Kuhn, prende spunto da un rapporto del 2006 della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) in cui si spiega che i processi coinvolti nell’allevamento di animali generano il 18 per cento delle emissioni globali di gas serra legate alle attività umane, una quota superiore a quella dell’intero settore dei trasporti (stradali, aerei, navali e ferroviari), responsabile del 13,5 per cento di gas nocivi. L’allevamento è anche la causa principale del degrado ambientale e del consumo di risorse (per produrre un solo hamburger sono necessari 2.500 litri d’acqua, come rimanere sotto la doccia per quasi tre ore di fila).

De Mauro riporta anche un nuovo studio del 2013, sempre della Fao, in cui i numeri portati alla ribalta nel 2006 vengono leggermente rivisti al ribasso (14,5 per cento anziché 18), e un rapporto del 2009 del Worldwatch Institute (fondato nel 1974, è considerato il più autorevole centro di ricerca interdisciplinare sui trend ambientali del nostro pianeta) che attribuisce addirittura il 51% delle emissioni di gas serra agli allevamenti intensivi.

A cosa è dovuta, dunque, la reticenza delle organizzazioni ambientaliste denunciata nel documentario? Questa è la domanda che si pone De Mauro, che invita tutti i suoi lettori a una riflessione seria, in direzione di una scelta che – parole testuali – “pensavamo di poter rimandare ai nostri figli, ma forse non è più così”.

La risposta di Greenpeace

Fulminea arriva la risposta di Greenpeace Italia, pubblicata il 20 maggio sul magazine. A parlare è Andrea Pinchera, direttore della comunicazione:

Cowspiracy è un documentario ben fatto tecnicamente, ma costruito su tesi discutibili. La scienza, infatti, arriva a conclusioni differenti rispetto a quanto sostenuto dai suoi autori. Basta leggere i rapporti dell’Ipcc, il comitato di scienziati coordinati dall’Onu che da anni analizza e sintetizza tutta la ricerca sui cambiamenti climatici e rappresenta la fonte più autorevole sul tema. La base, per intenderci, degli accordi internazionali come quelli siglati a Parigi nel dicembre 2015.

Il rapporto Ipcc dedicato alla ricerca sul clima (“The Physical Science Basis”, 2013) è composto da 1.552 pagine, ma il contributo delle attività umane al riscaldamento globale viene sinteticamente espresso in un grafico a pagina 736 che attribuisce all’allevamento un ruolo marginale, di molto inferiore a quello di energia, trasporti e industrie.

Pinchera, che comunque ammette i problemi causati dagli allevamenti intensivi, accusa Cowspiracy di aver cercato lo scandalo facile senza essersi informato abbastanza, omettendo che l’ufficio americano (che si è rifiutato di rispondere alle domande dei due registi) è solo uno tra i 26 uffici Greenpeace presenti nel mondo e che le posizioni globali sono espresse da Greenpeace International sul sito greenpeace.org.

Pinchera cita anche gli appelli di Greenpeace a ridurre il consumo di carne (espliciti nel recente documento Agricoltura sostenibile: sette principi per un nuovo modello) e nel rapporto Ecological livestock.

Yuri Benaglio 

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