Ricerca senza animali, Penco: “La tradizione è comoda, l’innovazione costa”
La ricerca senza animali è possibile? Susanna Penco è una ricercatrice dell’Università di Genova e da sempre lavora nel campo della sperimentazione medica senza l’utilizzo di animali: “Sono sempre stata, fin da studentessa, obiettrice di coscienza – spiega a Vegolosi.it – volevo e voglio starmi simpatica quando mi guardo allo specchio”. Lei è uno dei volti (e delle speranze) del nostro paese sul tema delle metodologie avanzate di ricerca, definite anche (impropriamente) “metodi alternativi”. L’abbiamo raggiunta per cercare di fare un po’ di chiarezza sul tema della sperimentazione animale.
Partiamo dal principio: è possibile fare ricerca scientifica senza l’utilizzo del modello animale?
Sì, certamente, ovviamente parlando di ricerca finalizzata agli umani; per quella finalizzata agli animali occorrerebbe usare gli stessi principi adottati per quella sugli umani. Il problema vero è che al momento non lo si può fare su tutto. Le faccio un esempio: l’epilessia, per esempio, non può essere studiata finora se non con il modello animale per legge (anche se assai imperfetto), ma ci sono moltissimi campi in cui la ricerca avanzata senza modello animale funziona, anzi funziona meglio di quella tradizionale.
Ha detto “meglio”?
Certo. I test condotti sugli animali sono per la maggior parte dei casi di scarsa rilevanza perché non sono specie-specifici. Sa che il 90% (92%) dei farmaci testati sugli animali e risultati efficaci con quel modello non passano i test clinici? E’ un dato della Food and Drug Administration (USA), non mio.
Mi può fare degli esempi?
La penicillina, la base di tutti gli studi sugli antibiotici, se l’avessero testata sulle cavie non sarebbe mai passata come adatta per gli umani; l’aspirina è tossica per gli animali eppure noi la usiamo da moltissimi anni. Prenda il caso dei test e delle indagini sulla sclerosi multipla, nessuno studio condotto su base animale ha dato i risultati sperati tantomeno è stato utile per identificare le cause e tuttora è una malattia che non ha cura risolutiva.
Quindi i test sugli animali non funzionano?
Hanno funzionato per alcune cose e tuttora vengono utilizzati, ma capiamoci, il progresso, la ricerca medica deve avanzare non rimanere ferma sempre allo stesso punto, alla stessa metodologia di ricerca. I test fatti sugli animali, per esempio: non ci sono studi, statistiche ufficiali indipendenti rese note sulla vera percentuale di successo, eppure vengono utilizzati di continuo, mentre per la ricerca avanzata, quella che viene definita “metodo alternativo”, prima di poter anche solo essere considerata deve essere vagliata con dati precisissimi, purtroppo riferiti sempre al modello animale!
Qual è il problema della ricerca sugli animali da un punto di vista scientifico?
Quello che le dicevo prima: non è specie-specifica. Se la differenza fra un ratto e un topo, è enorme, per esempio, pensi quanto può differire allora un topo da una donna di 30 anni, o da un bambino. Se parliamo di livello scientifico un veterinario ha senso che faccia esperimenti su un cane per curare altre migliaia di cani, o su un gatto per curare altri gatti (lasciamo da parte l’etica, perché solo l’idea a me mette i brividi) ma le ricerche per gli esseri umani dovrebbero essere tutte fatte con metodologie che si chiamano “human based”, e in verità già in parte è così.
Si usano “cavie” umane?
Per la seconda parte della sperimentazione dei farmaci è obbligatoria. Per le altre sostanze chimiche, no. La legge prevede prima i test sugli animali per un farmaco e quindi vanno fatti, ma la seconda parte (composta da 3 fasi prima della messa in vendita) prevede in fase I (per la tossicità), la somministrazione a soggetti sani: sono dei volontari (per la maggior parte uomini) a cui viene dato un rimborso spese, a volte sono gli stessi studenti di medicina a sottoporsi ai test. Le altre due fasi riguardano malati volontari per il test dell’efficacia. Quindi, è abbastanza chiaro che alla fine quello che davvero fa fede è il modello umano e non potrebbe essere altrimenti.
Dottoressa Penco, lei fa ricerca senza animali, su cellule umane: chi finanzia questa ricerca?
I privati e le associazioni animaliste.
Perché non arrivano fondi pubblici?
Il sistema è fatto in modo che si continui a fare quello che si sa fare, si lavora nella contingenza. Per poter ottenere i fondi è necessario pubblicare i propri studi, non ci si riesce a fermare per imparare cose nuove, tecniche diverse, utilizzare strumenti nuovi e complessi. Si continua con la tradizione: è più comodo, costa meno, cambiare è faticoso. Un topo costa meno di un bioreattore ed è molto più facile da “usare”, è maneggevole, non pericoloso. In più c’è davvero poca empatia con i topi…
Che cos’è un bioreattore?
Non è semplicissimo da spiegare ma è una sorta di manufatto che permette di ricostruire le funzionalità di alcuni organi coltivando delle cellule umane al suo interno. E’ necessario collegare bioreattori diversi fra loro che simulino vari apparati e organi attraverso i quali deve scorrere del sangue: in questo modo si possono testare anche i farmaci. Sa che il brevetto dei bioreattori è italiano ma è stato venduto alla Gran Bretagna? All’estero si usano già, ma costano: i topi e i cani un po’ meno.
Ci sono anche gli organoidi, delle strutture tridimensionali simili agli organi ottenuti coltivando in provetta cellule staminali, si studiano dai primi del 900.
Su cosa sta lavorando al momento il suo team di ricerca dell’Università di Genova?
In questo momento abbiamo un progetto importante per cui c’è anche una raccolta fondi, che lavora sullo studio del glaucoma, per capire come prevenirlo, curarlo e studiare dei farmaci basandosi sull’uso di cellule umane e della barriera Emato-Encefalica.
Come lavorate, con che modelli?
Solo su cellule umane, al momento su quelle staminali che, per esempio, arrivano dalle liposuzioni estetiche. Prima, per far crescere le cellule, anche quelle staminali, si usava del sangue di provenienza animale, anche io l’ho utilizzato, mi sembrava un buon compromesso per non fermare la ricerca senza però uccidere o torturare gli animali, ma adesso rinnego quegli studi, li ritirerei perché il micro ambiente creato con cellule umane e sangue animale non è attendibile. Come lavoriamo adesso? Con un derivato piastrinico umano che otteniamo dai centri trasfusionali, ma costa, costa molto.
Per conoscere l’attività della dottoressa Susanna Penco e del suo team e per sostenere la ricerca senza animali vi consigliamo di leggere a questo link tutte le informazioni http://www.ricer.care/ e https://www.retedeldono.it/it/progetti/i-care-europe-progetto-ricercare/glaucoma-e-barriera-emato-encefalica