L’alimentazione vegetale potrebbe salvare la biodiversità che sta scomparendo

Anche l’etologa Jane Goodall interviene alla presentazione di un report che spiega le uniche strade che l’umanità moderna ha di fronte.

Il nostro attuale sistema alimentare è la prima causa di perdita di biodiversità. È quanto spiegato da un report dell’istituto di ricerca inglese Chatham House, che illustra come l’agricoltura rappresenti una minaccia per l’86% delle specie a rischio di estinzione (24.000 su 28.000), il cui tasso globale di estinzione, oggi, è più alto del tasso medio degli ultimi 10 milioni di anni. Non solo, ma il 30% delle emissioni di gas serra dipende proprio dal sistema alimentare mondiale, e metà di questa percentuale proviene dall’allevamento animale.

La cura? Un’alimentazione più vegetale che metterebbe un freno ai danni sulla biodiversità causati dagli allevamenti, insieme ad un’attenzione particolare allo spreco di cibo: il cambiamento aiuterebbe a preservare gli ecosistemi esistenti e a ripristinare quelli distrutti. Il terreno usato per gli allevamenti potrebbe essere impiegato per un’agricoltura più compatibile con i ritmi della natura, eliminando quindi la necessità di convertire le attuali aree verdi in aree destinate all’agricoltura.

L’alimentazione vegetale non solo è possibile per tutti ma è anche molto semplice da seguire.

Non solo il nostro piatto

Una  “rivoluzione del piatto” che dovrebbe precedere altre due soluzioni fondamentali individuate dalla ricerca, ossia:

  • l’istituzione e la conservazione di un numero maggiore di aree naturali protette;
  • la limitazione dell’uso di additivi chimici e la sostituzione delle monocolture con le più sostenibili policolture.

Queste soluzioni sono strettamente connesse e interdipendenti ed estremamente urgenti: se non cambiamo le modalità con la quali produciamo il cibo che consumiamo, la perdita di biodiversità continuerà ad aumentare inesorabilmente comportando la distruzione di habitat o interi ecosistemi e mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa della specie umana.

Il cibo: una questione (anche) politica

Il modello alimentare attuale è basato su un circolo vizioso: il paradigma del “cibo a basso costo“. Lo scopo è produrre grandi quantità che costino poco aumentando però l’utilizzo di risorse primarie (acqua, terra, energia ma anche fertilizzanti e pesticidi). Questa “smania” di produzione, però, si traduce – e qui sta il circolo vizioso – in cibo sì a basso costo ma che crea ancora più domanda che, per essere soddisfatta, richiede un’ulteriore produzione di cibo a costo ancora inferiore, intensificando nuovamente lo sfruttamento delle risorse.

Il paradigma del cibo economico

Il paradigma del cibo economico. Fonte: CIWF Italia

Alla presentazione della ricerca (supportata anche dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e da Compassion in World Farming) ha partecipato anche la dottoressa Jane Goodall, etologa e una fra le più importanti e schiette voci sul tema delle difesa degli animali e dell’ambiente. Goodall ha sottolineato la correlazione tra le condizioni animali e la pandemia che ci sta coinvolgendo. “L’allevamento intensivo di miliardi di animali a livello globale danneggia gravemente l’ambiente, causando la perdita di biodiversità e producendo massicce emissioni di gas serra che accelerano il riscaldamento globale. Le condizioni disumane di affollamento degli animali non solo causano intense sofferenze a questi esseri senzienti, ma permettono il trasferimento di agenti patogeni dall’animale all’uomo rischiando nuove malattie zoonotiche. Per motivi etici dovrebbe essere eliminato al più presto”.

Anche Philip Lymbery (CIWF) ha fatto riferimento all’epidemia di Covid-19: “Dobbiamo lavorare con la natura, non contro di lei. Non c’è mai stato un tempo più appropriato per noi per capire che proteggere le persone significa anche proteggere gli animali. Il futuro dell’agricoltura deve essere rispettoso della natura e rigenerativo e le nostre diete devono diventare più vegetali, sane e sostenibili. Se non poniamo fine all’allevamento intensivo, rischiamo di non avere alcun futuro”.

Il professor Tim Benton di Chatham House, invece, si è rivolto senza mezzi termini alla politica globale: “I politici affermano ancora che il loro lavoro è rendere il cibo economico per tutti, indipendentemente da quanto sia dannoso per il pianeta e per la salute delle persone. Dobbiamo smetterla di dire che bisogna finanziare il sistema alimentare in nome delle persone povere, e agire sulle cause della povertà”.

Susan Gardner dell’UNEP ha poi sottolineato l’importanza di attuare delle riforme nel nostro modo di produrre e consumare il cibo a livello globale, per salvare la biodiversità e la vita – anche quella umana.

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