Greenpeace: “Soldi agli allevamenti più inquinanti da parte dell’Europa”

Un’inchiesta di Greenpeace rivela che il 51% degli allevamenti intensivi più inquinanti di 7 paesi europei viene finanziato dalla PAC, tra questi c’è anche l’Italia.

L’UE finanzia per mezzo della PAC (Politica Agricola Comune) alcuni degli allevamenti più inquinanti e pericolosi d’Europa e tutto il loro corollario di emissioni di sostanze tossiche per l’uomo, tra le quali anche l’ammoniaca.

A dirlo è Greenpeace che attraverso un’indagine svoltasi tra il 2017 e il 2018 basata sull’incrocio dei dati dei finanziamenti diretti nell’ambito della PAC e il Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR) ha cercato di fare chiarezza su alcuni punti oscuri relativi proprio all’attività della PAC.

La conclusione è che il 51% degli allevamenti testati in sette Paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, ha ricevuto i fondi per l’agricoltura (per un totale di 104 milioni di euro) nonostante si tratti di alcuni dei maggiori emettitori di ammoniaca nel proprio Paese e sia noto da tempo che: “L’allevamento di bestiame è tra le attività antropiche più ecologicamente dannose. Contribuisce massicciamente, sia direttamente che indirettamente, al riscaldamento globale, oltre a causare un diffuso degrado ambientale”.

Insomma con un totale di 59 miliardi di euro (circa il 40% del bilancio complessivo della UE) erogati agli impianti agricoli di tutta Europa, pare proprio che “il principio ‘chi inquina paga’, sancito nel Trattato dell’Unione europea, sembra essersi trasformato nell’originale principio ‘chi inquina viene pagato’“, denuncia l’associazione ambientalista nel rapporto reso pubblico in questi giorni.

Lacuna delle informazioni

La ricerca, condotta in collaborazione con alcuni giornalisti investigativi, ha preso in esame allevamenti presenti in Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Olanda e Polonia, ma stime precise sulla quantità di emissioni tossiche prodotte in questi paesi sono in realtà impossibili da raggiungere. Il motivo è che solo le aziende agricole che emettono più di 10 tonnellate di ammoniaca l’anno sono obbligate a comunicare i dati al registro degli inquinanti (E-PRTR).

Chiaramente l’ammoniaca non è la sola sostanza inquinante che deriva dagli allevamenti ma è l’unica che le singole aziende agricole di grandi dimensioni e con spazio per oltre 40 mila polli, 2 mila maiali o 750 scrofe sono tenute a dichiarare. Ciò significa che anche se i bovini sono responsabili della produzione, per esempio, di ingenti quantità di metano e ammoniaca, essi non sono coperti dall’E-PRTR e quindi non sappiamo con esattezza il numero totale di aziende agricole che inquinano e quanto ciascuna di esse contribuisca al problema.

I dati in Italia

Nel report di Greenpeace si legge che “in Italia, nel 2015, 874 allevamenti hanno emesso più di 10 tonnellate di ammoniaca. Il numero di società (alcune delle quali hanno riferito emissioni di ammoniaca per più di un allevamento) incluse nell’E-PRTR è di 739. In quell’anno queste aziende hanno emesso 46 mila tonnellate di ammoniaca. Ciò rappresenta il 12,8% delle emissioni totali di ammoniaca del comparto agricolo del Paese. In altre parole, l’87,2% delle emissioni di ammoniaca del comparto agricolo non viene registrato nell’E-PRTR. Il totale delle emissioni di ammoniaca del settore agricolo italiano nel 2015 ha raggiunto le 378 mila tonnellate, che rappresentano il 95% delle emissioni totali di ammoniaca dell’intero Paese.
I sussidi alla PAC sono stati versati a circa il 67% delle 739 società inquinanti, ovvero a 495 aziende agricole. Queste aziende hanno ricevuto 25,64 milioni di euro in sussidi dalla PAC”.

Alla luce di questi dati così allarmanti Greenpeace chiede all’Europa e all’Italia di tagliare i sussidi agli allevamenti intensivi, di sostenere aziende agricole che producono con metodi ecologici e di adottare politiche dirette al cambiamento delle abitudini alimentari e dei modelli di consumo allo scopo di  ridurre del 50% il consumo di carne e prodotti lattiero-caseari entro il 2050.

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