Gatti e genio artistico: ecco le prove di un legame

Dall’Antico Egitto a Charles Baudelaire, da Torquato Tasso a Charles Bukowski passando per Stanley Kubrick: secoli di pagine e poesie scritte in lode al gatto

Gatti e letteratura

Misteriosi, eleganti e solenni, i gatti hanno da sempre affascinato e ispirato le più geniali menti letterarie e artistiche nel corso dei secoli. In effetti è molto stretto il legame tra la poesia e i piccoli felini: incantati dalle loro movenze eleganti, dal carattere indipendente, dall’affetto che riescono ad esprimere, grandi poeti di tutti i tempi hanno dedicato versi innamorati al loro animale prediletto. Forse anche per via dell’antica credenza che vuole un manoscritto morso da un gatto destinato al successo tanto che il poeta Aldous Huxley rispose ai suoi allievi che gli chiesero il segreto per avere successo in letteratura: “Se volete scrivere, tenete con voi dei gatti”.

Baudelaire gattiCharles Baudelaire, tra gli altri, scrisse diversi componimenti dedicati al felino per eccellenza.
Ne Il gatto il poeta paragona l’amore per una donna a quello per un micio. Secondo il poeta, gli occhi dei felini e quelli delle donne sono simili: profondi, forse freddi, ma che, in ogni caso, ammaliano.

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l’agata si mescola al metallo.
Quando le mie dita carezzano a piacere
la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
s’inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.
Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo, amabile bestia,
taglia e fende simile a un dardo, e dai piedi alla testa
un’aria sottile, un temibile profumo
ondeggiano intorno al suo corpo bruno.

In un’altra ode Baudelaire afferma che le pupille dei gatti sono mistiche. Del resto già nell’antico Egitto la dea Bastet e sua sorella Sekhmet erano raffigurate con corpo di donna e testa di gatto. Il gatto condivideva con Bastet la fertilità e la chiaroveggenza, mentre con Sekhmet la preveggenza. Sekhmet, che rappresentava la giustizia e la potenza in guerra, veniva infatti interrogata dai sacerdoti per conoscere i piani del nemico e quindi aiutare i soldati in battaglia.

I fervidi innamorati e gli austeri dotti amano ugualmente,
nella loro età matura, i gatti possenti e dolci, orgoglio
della casa, come loro freddolosi e sedentari.
Amici della scienza e della voluttà, ricercano il silenzio e
l’orrore delle tenebre; l’Erebo li avrebbe presi per funebri
corsieri se mai avesse potuto piegare al servaggio la loro fierezza.
Prendono, meditando, i nobili atteggiamenti delle grandi
sfingi allungate in fondo a solitudini, che sembrano
addormirsi in un sogno senza fine:
le loro reni feconde sono piene di magiche scintille e di
frammenti aurei; come sabbia fine scintillano vagamente
le loro pupille mistiche.

Baudelaire torna spesso sul tema degli occhi dei gatti, definendoli anche “viventi opali”, ma si sofferma anche su altri aspetti della bellezza felina, tanto da arrivare a definire il gatto come un dio che “giudica, governa e ispira ogni cosa nel suo impero”.

Che dolce profumo esala da quel pelo
biondo e bruno! Com’ero tutto profumato
una sera che l’accarezzai
una volta, una soltanto!
È lui il mio genio tutelare!
Giudica, governa e ispira
ogni cosa nel suo impero;
è una fata? O forse un dio?
Quando i miei occhi, attratti
come da calamita, dolci si volgono
a quel gatto che amo
e guardo poi in me stesso,
che meraviglia il fuoco
di quelle pallide pupille,
di quei chiari fanali, di quei viventi opali
che fissi mi contemplano!

Ma nella storia della letteratura i gatti sono stati per lo più umanizzati: intorno alla fine del 1600, il favolista La Fontaine rappresenta i gatti come personaggi ipocriti, falsi, ladri e fannulloni. Ne Il gatto con gli stivali di Charles Perrault, il gatto riacquista simpatia col suo abito da galantuomo e il suo fare elegante. Lope de Vega, grande drammaturgo spagnolo vissuto a cavallo del XVI e XVIII secolo, scrisse addirittura una Gattomachia in 2500 versi, poema dove si serve dei gatti per evidenziare e criticare le passioni e i difetti tipici dell’uomo.

Ma gli esempi di autori innamorati dell’elegante felino si sprecano. Mentre Torquato Tasso, caduto in disgrazia alla corte di Ferrara e ridotto in miseria, quasi cieco e senza soldi dedica un intero sonetto alle gatte dell’Ospedale di Sant’Anna implorando in dono un po’ di luce dai suoi occhi splendenti, Victor Hugo possedeva un amatissimo gatto di nome Canonico che dormiva su una cuccia più simile a un trono che ad una poltrona.

Come nell’Ocean, s’oscura e ‘nfesta,
procella il rende torbido, e sonante,
alle stelle, onde il polo è fiammeggiante,
stanco nocchier di notte alza la testa;

così io mi volgo, o bella gatta, in questa
fortuna avversa alle tue luci sante,
e mi sembra due stelle aver davante,
che tramontana sia nella tempesta.

Veggio un’altra gattina, e veder parmi
l’Orsa maggior colla minore: o gatte,
lucerne del mio studio, o gatte amate,

se Dio vi guardi dalle bastonate,
se ‘l Ciel vi pasca di carme e di latte,
fatemi luce a scriver questi carmi.

Edgar Allan PoeEdgar Allan Poe, ne Il gatto nero (da I racconti del terrore) racconta in un’atmosfera cupa e macabra il rapporto tra il protagonista – con la sua progressiva discesa verso l’abisso della follia – e il suo gatto nero Plutone, unico essere in grado di percepire ciò che sta succedendo al suo padrone e, per questo, il primo a essere travolto dalla sua inarrestabile esplosione di violenza dal momento che il suo sguardo scrutatore diventa per l’uomo pian piano insopportabile.

Per arrivare al ‘900, Stanley Kubrick che, a dispetto delle leggende sulla sua misantropia e il brutto carattere, amava incondizionatamente tutti gli animali, riservò sempre un trattamento speciale ai gatti e ai cani che usava per le riprese sui set oltre ovviamente a quelli che popolavano la sua casa.

Charles Bukowski, che aveva 9 gatti un po’ salvati, un po’ donati, un po’ trovati per caso, nutriva nei loro confronti un rispetto e un’ammirazione assoluta: “Avere una banda di gatti intorno è bello. Se ti senti giù, basta guardare i gatti e ti sentirai meglio, perché loro sanno che tutto è come semplicemente è. Non vale la pena scaldarsi. Loro lo sanno e basta. Sono i salvatori“.

Sui gatti, volume edito da Guanda, vengono raccolte tutte le poesie e i testi in prosa che il grande scrittore statunitense ha dedicato a questo splendido animale del quale ne percepisce soprattutto il legame tra violenza e sopraffazione (il gatto predatore che uccide un uccello) ed eleganza e saggezza (doti precluse alle “faccende umane”).

Un gatto è la raffigurazione del meccanismo perpetuo, come il mare. Non accarezzi il mare perché è carino ma accarezzi un gatto – perché? – SOLO PERCHE’ LUI TE LO PERMETTE. E un gatto non conosce mai paura – alla fine – si ricarica solo nella primavera del mare e della roccia, e anche nella lotta mortale non pensa a nulla eccetto che alla maestosità delle tenebre.

Circondato dai suoi numerosi gatti che gli camminavano sopra la scrivania e mettevano il naso tra i suoi fogli quali testimoni compiaciuti delle sue trasgressioni, Bukowski rivolge un pensiero particolare al suo preferito, Butch, gatto randagio, con la coda mozzata, che sopravvive a un terribile investimento da parte di un’auto e che, si scopre poi, è stato anche vittima di un colpo di arma da fuoco. Insomma un sopravvissuto. Come Bukowski, d’altra parte, che ce lo dice esplicitamente: “questo gatto sono io”.
Bukowski è un sopravvissuto alla vita estrema che ha condotto per decenni ed è affascinato da queste creature pelose dalle sette vite.  Si identifica in loro e da loro si fa ispirare.

Serena Porchera

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