“The last pig”, Bob Comis “Vendevo morte, ora la mia vita è cambiata”
Bob Comis, allevatore di maiali di New York che ha deciso, dopo 10 anni, di cambiare vita. La sua storia ora è un documentario.


Una presa di coscienza che si è tramutata nella consapevolezza che non esiste differenza tra il suo cane Monk e i maiali che alleva, che mangiare l’uno o l’altro non ha ugualmente senso, che ognuno dei suoi maiali cela dietro i propri occhi uno sguardo che risponde all’umano sguardo e che lo spettatore vive soprattutto attraverso l’uso dei dettagli, dei silenzi e dei rumori ambientali. Il grufolare dei maiali, il loro respiro mentre dormono o mangiano invadono lo schermo, rendono vivo il racconto e intimo il rapporto che il protagonista (e lo spettatore attraverso di lui) vive con queste splendide creature. Sembra di essere lì, in quei campi, tra il fango o sotto la neve, all’alba a dar loro da mangiare, a curarli se malati, a marchiarli con la vernice quando hanno raggiunto il peso di mercato, a caricarli sul camion diretti al macello. Sì, perché seguiamo gli animali fin dentro il macello, ma non è come vedere le immagini rubate dagli attivisti negli allevamenti. Le riprese sono nitide, luminose, non ci sono abusi, gli animali non vengono picchiati o trascinati in catene, non sono feriti o zoppicanti eppure è una scena tragicamente intensa, commovente, disturbante più delle immagini esplicite di morte; e questo grazie ai dettagli (dei guanti degli addetti alla macellazione, delle lame affilate, degli occhi confusi dei maiali), giganti sullo schermo, ai suoni (i rumori metallici dei cancelli di ferro e delle lame, il respiro affannato dei maiali spaventati).
Oggi Bob Comis è vegano e non alleva più maiali. Confessa che spesso questi animali gli mancano, come gli manca non prendersi più cura o imparare da loro, svegliarsi all’alba per trascorrere con loro la giornata, ma non si pente un solo giorno della scelta che ha fatto.
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