L’evoluzione animale è “vittima” delle città: gli animali vanno protetti

Il biologo evoluzionista Menno Schilthuizen ci spiega se e come le “giungle urbane” nelle quali viviamo possono influenzare l’evoluzione e perché la tutela della biodiversità è così importante, anche in città

L’evoluzione non è (solo) un lungo processo che avviene, imperturbato, nelle zone recondite delle foreste più lontane, ma accade proprio sotto i nostri occhi, nelle “giungle d’asfalto” che sono le nostre metropoli. Si tratta di cambiamenti anche molto evidenti che possono riguardare sia le specie vegetali che quelle animali, e che coinvolgono aspetti fisici degli individui, ma anche comportamentali. 

A Vienna, i ragni tessono le loro tele vicino ai lampioni per attirare le falene; a Sendai, in Giappone, i corvi sfruttano le auto in corsa per aprire i gusci che racchiudono i semi di cui si nutrono; a Manhattan, i topi dai piedi bianchi hanno adattato la loro alimentazione a quella dei newyorkesi, e si cibano dei resti di junk food abbandonati nei parchi. Ne abbiamo parlato con Menno Schilthuizen, biologo evoluzionista, ricercatore e professore dell’Università di Leida, che nel suo libro Darwin va in città. Quando la giungla urbana influenza l’evoluzione prosegue la sua opera di divulgazione scientifica per il pubblico attraverso dati, aneddoti e contributi di altri scienziati. 

Tra i tipi di adattamento che le specie viventi mettono in atto, alcuni dei più sorprendenti sono quelli in risposta all’inquinamento: i piccioni di Parigi, per esempio, sono scuri perché la melanina del loro piumaggio li aiuta a resistere ai metalli pesanti. In che misura la velocità alla quale noi esseri umani modifichiamo l’ambiente influenza la velocità dell’evoluzione?

La velocità a cui procede l’evoluzione dipende in parte dalla “forza” della selezione naturale. O, in altre parole, dal beneficio che si trae grazie a una specifica caratteristica. Nel caso dell’inquinamento, il vantaggio di non morire a causa di una elevata dose di PCB è enorme (i PCB, policlorobifenili, sono degli inquinanti industriali presenti nelle acque salmastre nel nord-est degli USA, habitat di un pesciolino chiamato mummichog che negli anni ha sviluppato una forte resistenza a elevatissime concentrazioni di PCB, ndr), quindi i geni mutanti che codificano questa informazione si diffondono molto velocemente all’interno di una popolazione di individui, e riescono a imporsi nel giro di poche generazioni. Se gli animali o le piante coinvolti producono una o più generazioni per anno, questo significa che l’evoluzione della resistenza all’inquinamento può avvenire in appena 10 o 20 anni.

Secondo lei dovremmo limitare il nostro impatto sulle altre specie, anziché lasciare che siano loro ad adattarsi a noi? Oppure, poiché Homo sapiens fa parte della natura (e, come dice nel libro, le città sono habitat naturali), è opportuno lasciare che la natura faccia il suo corso?

Naturalmente, non tutte le specie riescono ad adattarsi a noi. Molte specie non hanno proprio l’opportunità genetica per sviluppare degli adattamenti evolutivi. Quindi sì, dovremmo provare a limitare il rischio di estinzione delle specie presenti nelle aree urbane, per esempio attraverso la creazione di aree verdi con la vegetazione adatta affinché esse crescano e durino nel tempo. Più è ricca la biodiversità nei nostri ambienti cittadini, più anche la nostra qualità della vita migliora. Allo stesso tempo, credo che abbiamo la capacità di controllare solo una piccola parte del processo naturale di integrazione degli umani negli ambienti del mondo. Nella maggioranza dei casi, l’adattamento o l’estinzione di certe specie nelle città accadono senza che noi possiamo farci nulla, o addirittura senza che ne siamo consapevoli. Ciò accade perché non monitoriamo che una piccola parte della biodiversità: le città fanno da casa a migliaia di specie, di organismi minuscoli che nemmeno i biologi tengono d’occhio.

Durante il lockdown, in pochissimo tempo numerose specie si sono fatte largo in città interagendo con le infrastrutture (e con noi) in maniera sorprendente. Il che fa riflettere: si può prevedere che cosa accadrebbe se gli esseri umani e le città scomparissero totalmente?

Credo che se gli umani si estinguessero da un giorno all’altro, il mondo naturale ritornerebbe al suo stato originale in una manciata di secoli. A eccezione, ovviamente, delle specie che noi stessi abbiamo portato all’estinzione: quelle scomparirebbero per sempre.

 

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