New York: il caso di Happy, l’elefantessa sola, verrà riesaminato

Happy, isolata in uno zoo da oltre dieci anni, sarà il primo animale negli USA a ottenere un processo per ingiustificata detenzione.

La Corte d’appello di New York riapre il caso dell’elefantessa asiatica Happy, nata in libertà nel 1971 e catturata in Thailandia, a pochi anni di vita, insieme ad altri sei cuccioli (forse suoi fratelli). Happy fu trasferita in un zoo della California e infine consegnata, nel 1977, allo zoo del Bronx dove tutt’oggi è confinata. 

Questo zoo è stato nominato il quinto zoo peggiore per gli elefanti di tutti gli Stati Uniti e secondo The New York Times, Happy è l’elefante più solo all’interno della struttura.

La battaglia di Happy

Dopo aver vissuto insieme ad altri due elefanti, dal 2006, Happy è stata, per oltre dieci anni, in una condizione di isolamento. Gli elefanti sono animali particolarmente socievoliintelligenti, la stessa Happy nel 2005 è stata il primo elefante a superare il test di riconoscimento allo specchio, ritenuto un indicatore di autocoscienza. 

Sulla piattaforma Changers.org è stata lanciata una petizione per chiedere che l’isolamento di Happy finisca, ma nonostante le 1,4 milioni di firme raccolte, i gestori dello zoo del Bronx non si sono ancora convinti a cedere l’elefantessa a un santuario per animali.

1,4 milioni le firme ottenute da Changers.org per liberare Happy

Nel 2018, in seguito a questo rifiuto, Nonhuman Rights Project (NHPR), un’organizzazione no profit impegnata nella salvaguardia dei diritti fondamentali degli animali – con una particolare attenzione verso elefanti, delfini e balene – ha avviato un’azione legale, riportata all’attenzione dell’Associazione Animal Law , sostenuta da docenti universitari ed esperti di fama mondiale sul benessere dei pachidermi, per ottenere la liberazione dell’elefantessa basandosi sull’infondatezza della sua detenzione.

“Gli elefanti in isolamento diventano annoiati, depressi, aggressivi, catatonici e smettono di crescere.” Ha affermato l’esperto Joyce Poole “I guardiani umani non possono sostituire le numerose e complesse relazioni sociali e i ricchi scambi di comunicazioni gestuali e vocali che avvengono tra elefanti in libertà”.

Secondo gli esperti gli elefanti non possono vivere in isolamento

Gli atti giudiziari definiscono Happy come un “animale non umano autonomo e cognitivamente complesso” e le evidenze scientifiche degli esperti hanno dimostrato come gli elefanti, abitualmente, vivano in gruppi composti da un numero elevato di individui appartenenti a più generazioni. Nonostante le argomentazioni, sostenute anche dagli autorevoli pareri degli esperti, nel 2018, il giudice non accettò l’appello a favore della liberazione di Happy e il ricorso venne annullato.

Il nuovo procedimento giudiziario

Nonhuman Rights Project ha però continuato a sostenere la causa per la liberazione di Happy finché la Corte di Appello di New York — una tra più le prestigiose degli Stati Uniti — non ha recentemente deciso di ascoltare il caso, ritenendo di poter procedere. Si tratta di un segno di grande speranza per l’elefantessa, che un passo significativo per i diritti degli animali, dal momento che è la prima volta che una giurisdizione superiore, in un paese di diritto anglosassone, accoglie un appello in materia di ingiustificata detenzione di un animale non umano.

Happy è il primo animale negli USA a ottenere un processo per ingiustificata detenzione

La procedura giudiziaria messa in atto dall’organizzazione no-profit Nonhuman Rights Project, si basa sull’atto del cosiddetto “habeas corpus”, che consente di rivolgersi al potere giudiziario nel caso di provvedimenti coercitivi che limitino la libertà personale.

Mentre secondo le nostre leggi non vi sono dubbi che l’atto sia applicabile esclusivamente agli esseri umani, nel diritto anglosassone, l’assenza di una legge che stabilisca cosa sia precisamente l’habeas corpus — e che disciplini nel dettaglio come si esercita — concede spazio per un’ampliamento del suo utilizzo. 

L’ habeas corpus potrebbe rappresentare, quindi, lo strumento perfetto per estendere i diritti fondamentali agli animali non umani. Numerosi studiosi di diritto, interpellati dall’organizzazione, si sono dimostrati a favore di questa strada sottolineando la possibilità per i giudici nei paesi con common law di “creare il diritto”, a differenza di quanto accade nei sistemi di civil law (la maggior parte dei paesi europei), dove i giudici devono limitarsi ad applicare la legge e quindi hanno un minore potere di manovra.

Nonostante questo, a tutti gli effetti, il primo caso in cui un giudice ha dichiarato un animale non umano “soggetto non-umano” è quello della scimpanzé Cecilia, verificatosi in Argentina, paese con un sistema di civil law ereditato dalla Spagna.

 

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