Plastica, la petizione di Greenpeace a Coca-Cola e Nestlè: stop alle bottiglie monouso

Con la raccolta firme indirizzata ai colossi del mondo delle bevande l’organizzazione chiede un cambio di passo sostanziale per ridurre gli impatti distruttivi sul Pianeta dell’inquinamento da plastica

Ridurre drasticamente il ricorso a bottiglie in plastica monouso, adottare sistemi di vendita basati su un elevato impiego di contenitori riutilizzabili, lavorare insieme alle grandi catene di supermercati per installare stazioni di ricarica per le bevande: sono le richieste avanzate da Greenpeace ad aziende leader del mercato come Coca-Cola, Nestlé, PepsiCo, San Benedetto e Sant’Anna attraverso una petizione che punta a fare pressione sui colossi delle bevande per ottenere una concreta riduzione del consumo di plastica. “Queste aziende – spiega Greenpeace lanciando l’iniziativa – devono riconoscere una volta per tutte che la plastica monouso ha impatti distruttivi sulle persone e sul Pianeta, e devono impegnarsi ad abbandonarla completamente”.

Italia: un vergognoso primato

L’Italia, con più di 11 miliardi di bottiglie di plastica all’anno, detiene il vergognoso primato di essere il primo Paese europeo a consumare acqua minerale nelle bottiglie di plastica. Su scala mondiale la situazione non migliora molto e l’Italia si piazza al terzo posto, dopo Messico e Thailandia.

Secondo il rapporto di Greenpeace “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica”, più del 60% delle bottiglie prodotte, circa 7 miliardi, non vengono riciclate e rischiano di essere disperse nell’ambiente e nei mari, contribuendo in modo massiccio all’inquinamento del Pianeta.

Italia: primo Paese in Europa nella consumo di bottiglie di plastica

Negli ultimi dieci anni, evidenzia il rapporto, le vendite totali delle sole acque minerali imbottigliate in plastica sono passate dai circa 5 a circa 10 miliardi di bottiglie l’anno.

“Le sfide ambientali che si prospettano nel prossimo, immediato futuro, sono varie e interconnesse con danni potenzialmente irreversibili”, ha affermato Greenpeace. “L’inquinamento derivante dalla dispersione nell’ambiente naturale dei rifiuti in plastica, in particolare dagli articoli in plastica monouso, è solo una tessera di un mosaico molto più complesso, che va necessariamente affrontato nel quadro di una visione ampia e articolata sull’impatto delle attività umane sull’ambiente a partire da una riflessione profonda sulla voracità con cui l’attuale sistema economico costruito intorno al paradigma della crescita consuma le risorse naturali, impatta sui sistemi naturali e destabilizza gli equilibri ecosistemici”.

Plastica: un rischio per l’ambiente e la salute

L’impatto ambientale della plastica sul nostro Pianeta riporta dei dati molto preoccupanti anche per la salute dell’uomo e per l’ambiente. La maggior parte della plastica che viene prodotta nel mondo è fabbricata a partire da petrolio e gas fossile. Ciò provoca durante tutto il ciclo di vita di questo materiale (produzione e incenerimento) un’emissione di gas serra che, secondo Greenpeace, è equivalente a quella di circa 200 centrali a carbone. A incidere ulteriormente sull’impatto ambientale c’è anche il trasporto, basti pensare, ad esempio, a come l’acqua in plastica venga distribuita sul mercato attraverso mezzi pesanti che a loro volta inquinano l’aria e producono altra CO2.

Le bottiglie di plastica sono composte da elementi chimici nocivi per la salute umana

Quello che la plastica sia necessaria in quanto materiale “igienico” è in realtà un “mito inventato dalle aziende”, sottolinea ancora Greenpeace. La plastica è un materiale fatto di sostanze chimiche che potrebbero causare dei problemi di salute per l’uomo. Ftalato e bisfenolo A sono, ad esempio, due additivi definiti anche “interferenti endocrini” ovvero sostanze chimiche in grado di alterare l’equilibrio ormonale del nostro organismo, con ripercussioni su funzioni vitali molto importanti come la crescita, lo sviluppo sessuale e il metabolismo corporeo.

Riciclo? Un falso mito

Solo la metà del tipo di plastica usato per le bottiglie (PET) e venduto in tutto il mondo viene raccolto per essere riciclato e solo il 7% delle bottiglie raccolte per il riciclo, calcola ancora l’organizzazione, sono trasformate in nuove bottiglie. Tutto ciò che ne rimane finisce nei fiumi, nel mare e sulle nostre spiagge, bruciato negli inceneritori o in discariche a volte gestite in modo illegale.

“La tendenza italiana alla sostituzione tout-court dei prodotti in plastica monouso con alternative monouso realizzate a partire da materiali biodegradabili e compostabili, appare in questo contesto come una ‘falsa soluzione‘ non in linea con il ‘nuovo’ paradigma dell’economia circolare e, più in generale, con la necessità e l’urgenza di una riduzione drastica del consumo di risorse naturali”, prosegue Greenpeace. “E’ quanto mai necessaria una presa di coscienza a livello sociale e istituzionale delle conseguenze di tale modello sui sistemi naturali e della ‘posta in gioco’ e riportare al centro del dibattito la discussione sulle possibili alternative”.

Il report di Greenpeace sull’impatto ambientale delle bottiglie di plastica

Il tempo che abbiamo a disposizione, per un cambio di rotta, sembra ridursi ogni giorno di più, ma è necessaria un nuovo paradigma senza il quale non riusciremo a “ricondurre lo sviluppo sui binari della sostenibilità ed evitare i peggiori scenari delineati dalla comunità scientifica internazionale”, continua Greenpeace rilanciando la petizione per dire stop alle bottiglie di plastica.

Direttiva UE e plastica monouso: un po’ di chiarezza

Intanto, proprio in questi giorni, grazie alla Direttiva Europea (Direttiva 2019/904/UE) “Sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”, pubblicata il 12 giugno 2019 – con l’obbligo di recepimento da parte degli Stati membri entro il 3 luglio 2021 – è stato messa al bando anche in Italia la commercializzazione di diversi oggetti in plastica monouso come contenitori per alimenti, cannucce, posate, bastoncini cotonati, bicchieri.

Per quanto riguarda le bottiglie di plastica, la normativa prevede che dal 2024 le bottiglie fino a 3 litri potranno essere commercializzate solo se il tappo di plastica rimane attaccato alla bottiglia dopo l’apertura. Per le bottiglie in PET, è previsto che contengano almeno in 25% di PET riciclato entro il 2025 per poi arrivare al 30% dal 2030 in poi.

Per altri prodotti quali filtri di sigarette, buste in plastica, bustine di snack, salviette umidificate e assorbenti è invece previsto l’obbligo di un’etichettatura più precisa solo in presenza di componenti in plastica, con una dicitura in merito anche alle conseguenze della dispersione di questi oggetti nell’ambiente.

 

 

 

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