L’ecologia “superficiale” non ci porterà a nulla: le riflessioni di Arne Naes

Alpinista prima che filosofo, è considerato uno dei padri dell’ecologia: la visione di Arne Naes è forse una delle più vere e complesse che si possano scoprire

Camminando per tre ore dopo essere arrivati alla stazione di Ustaoset, un piccolo villaggio nel comune di Hol in Norvegia, si arrivava a Tvargastein, la baita che Arne Naes decise di costruire con le proprie mani. Questo luogo di riflessione ma anche di sperimentazione e osservazione ecologica molto pratica fu la casa del filosofo norvegese per circa dodici anni. Naes, classe 1912 – mancato a 97 anni nel 2009 – sperimentò proprio nella baita la difficoltà degli esseri umani a vivere in sintonia con la natura: “Cosa avrebbe preteso da me quel luogo – scrisse in uno dei saggi raccolti in Siamo l’aria che respiriamo edito con merito da Piano B – che tipo di stile di vita, attività e cerimonia sarebbero state appropriate a questo luogo? […] Arrivai a due spiacevoli e importanti conclusioni. Non era possibile vivere di quella terra e secondo i suoi ritmi”.

Fu la lettura del saggio Primavera silenziosa della biologa Rachel Carson a ispirare in lui, studioso di astronomia, matematica e filosofia, e da sempre incantato dalla natura e ancor di più dalla montagna, la necessità di una riflessione vera sull’impatto che l’umanità aveva sulla natura. Fu così che nacque e si sviluppò una delle teorie ecologiche più importanti e complesse della storia del pensiero occidentale: quella dell’Ecologia Profonda.

La rete dentro di noi

Naes era come una spugna che assorbiva centinaia di stimoli. Si sentì vicino alla cultura orientale buddista ma fu sempre laico nel sostenere che, per una riflessione sulla nostra impronta sul mondo, non era necessario fuggire dalla propria cultura di riferimento, bensì serviva un’interrogazione profonda di noi stessi. Fu un avido lettore di Gandhi e Spinoza, ma la sua riflessione si volse sempre verso l’uomo la cui autorealizzazione doveva passare per la comprensione delle relazioni intrinseche con la natura. Il concetto di “sé ecologico” parte dall’idea che i confini dell’uomo debbano espandersi fino a comprendere l’intera natura. Secondo il filosofo norvegese, noi non siamo parte della natura ma la comprendiamo in noi stessi, siamo natura e, una volta fatta nostra questa mancanza di confini fra il nostro ego e quello che riteniamo essere solo “attorno a noi”, tutte le riflessioni e le azioni che compiamo non ricadono più nella sfera del moralismo coercitivo, nella zona di un’etica ambientale che ci impone regole e persino sacrifici per salvare quello che ci sta attorno, bensì, con la comprensione dell’ecosofia, noi salviamo noi stessi.

La cover del libro edito da PianoB

Non esiste separazione

Naes spiega nel corso della sua vita accademica, nei saggi e negli articoli sul tema che l’essere umano ha già in sé la percezione di questa assenza di confine fra sé e la Natura. Quella che viene definita “saggezza ecologica” non è costituita solamente da conoscenze e informazioni ma anche da intuizioni e introspezione. Quel sentimento di benessere che percepiamo quando torniamo a contatto con quello che siamo (o eravamo) passeggiando in un bosco, guardando un tramonto, o ammirando la maestosa potenza di una montagna, o la creatività vitale in un semplice germoglio, è la manifestazione della advaita, termine che nella cultura orientale spiega la “non dualità tra uomo e resto dei viventi”. Le indicazioni di Naes non hanno nulla di teoretico o mistico, però: le sue posizioni, fatte anche di riflessioni in divenire lungo la sua gigantesca carriera accademica, sono legate ad azioni e prospettive molto pratiche.

Il concetto di una politica che premia le attività che non tengono a mente la finitezza delle risorse e la miopia di un sistema che conta di rapinare, impoverendo territori, popolazioni e spiritualità, è uno dei capisaldi del suo pensiero. Il concetto di “sostenibilità” non può essere – sostiene il filosofo – legato a ciò che è sostenibile solo in relazione all’essere umano con i suoi egoismi, così come il concetto di “qualità della vita” non deve essere legato ad un approccio quantitativo, bensì qualitativo. L’ecosofia di Naes si basa su una formula immediata: “Semplicità di mezzi e ricchezza di fini”.

La critica all’ecologia superficiale

Il pensiero dell’alpinista-filosofo Naes è noto a livello mondiale grazie alla definizione di ecologia profonda e ecologia superficiale. In modo semplice, potremmo definire la seconda come l’ecologia che vediamo sempre più spesso fare capolino in articoli di giornale, servizi dei tg e dichiarazioni politiche: un’ecologia che ha come scopo il benessere dell’uomo e lo mette al centro della riflessione. Ma non è così che può funzionare. Secondo Naes il pericolo di una concezione antropocentrica basata sulla tecnocrazia, avrebbe portato – e nulla è stato più profetico – all’idea che qualsiasi problema ecologico creato dalle attività umane possa essere risolto per mezzo di tecniche, scoperte e invenzioni che permetteranno di procrastinare nel tempo il danno all’uomo. Ne è un chiaro esempio la corsa non troppo velata – e nemmeno più troppo impossibile – verso nuovi territori spaziali da colonizzare al fine di trovare terre da coltivare, oppure – nel peggiore dei casi – da abitare. Sfruttare fino alla linfa la natura che siamo, succhiandola via tutta, la cultura dell’usa e getta su scala globale era quello che la filosofia e le riflessioni di Naes volevano analizzare, comprendere e infine allontanare.

Dall’altra parte, a contrapporsi all’ecologia superficiale delle docce veloci, degli spostamenti in bicicletta e alla riduzione dell’uso degli aerei – scelte sicuramente importanti ma che hanno al centro solo la salvaguardia di privilegi e stili di vita – ci sono le riflessioni profonde e le azioni, soprattutto politiche, per modificare l’approccio economico alla crescita infinita. Serve una nuova cultura – e in Naes il ruolo dell’educazione è, appunto, fondamentale – del rispetto di sé stessi come sé ecologici e, quindi, della Natura. Un esempio? Ecco cosa significano, secondo l’autore, approccio superficiale e profondo su un tema come quello dell’inquinamento:

  • Ecologia superficiale: studio, valutazione di nuove tecnologie che possano purificare l’aria, l’acqua o i terreni, affiancate da legislazioni che implicano e puntano a una limitazione delle emissioni;
  • Ecologia profonda: l’inquinamento deve essere analizzato non nei termini dei suoi effetti sulla vita, bensì, nel suo complesso, richiedendo a livello politico una lotta contro le economie, le tecnologie e gli stili di vita che ne sono causa.

Un altro esempio? Ecco i due tipi di approccio sul tema dell’istruzione e dell’impresa scientifica:

  • Ecologia superficiale: il degrado dell’ambiente richieste esperti nuovi che siano in grado di raccontarci come combinare, senza danni, il progresso inevitabile con la conservazione dell’ambiente;
  • Ecologia profonda: l’istruzione dovrebbe puntare sempre alla scoperta e alla formazione della sensibilità del sé ecologico, portando l’attenzione verso i beni non di consumo.

Una nuova sensibilità

Naes non era un idealista e nelle sue riflessioni la difficoltà pratica nel mettere in campo questo tipo di nuovo approccio sono analizzate e ben valutate. Ma questo non toglie che la base delle sue riflessioni sia integra: la necessità di una nuova sensibilità, di una nuova educazione, lontana dall’assunto del “più abbiamo, più possediamo, meglio staremo” è imprescindibile perché le risorse – e lo conferma il retrocedere ogni anno sempre un po’ di più della data dell’overshoot day – non sono infinite, anzi, si degradano e “finiscono” sempre di in fretta.

L’approccio unilaterale messo in luce da Naes, ossia quello che guarda solo nella direzione della retorica ormai vuota di significato del “Salviamo il Pianeta” come se stessimo agendo per qualcun altro che non siamo noi, è ormai senza speranza di riuscita. Quello che serve (o forse è ormai il caso di usare il condizionale “sarebbe servito”) è una riflessione profonda sui nostri stili di vita, sulle abitudini alle quali mettere mano al fine di cambiarle per sempre: e se ci sembrerà di fare un sacrificio, allora dovremo rileggere le pagine di questo pensatore imprescindibile per rivalutare la nostra superficialità.

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