Imparare a orientarsi nello spazio per ritrovare se stessi
Il geografo Franco Michieli ci racconta perché allenare il senso dell’orientamento è anche una questione di spazi interiori e di riconnessione con l’ambiente, in una visione meno antropocentrica e più olistica
Quanti di noi troverebbero la strada giusta senza GPS, smartphone e orologio al polso? Ne abbiamo parlato con Franco Michieli, geografo, esploratore naturale e garante internazionale di Mountain Wilderness che nel suo libro Per trovarti devi prima perderti. Guida tecnico-filosofica all’orientamento naturale ha raccontato esperienze di viaggio e consigli pratici per imparare a orientarsi interpretando la natura.
Senso dell’orientamento e spazi interiori
La prima esperienza di orientamento naturale, Michieli racconta di averla vissuta a soli diciannove anni. Appena conclusi gli esami di maturità e spinto da un desiderio di avventura decise di attraversare tutte le Alpi a piedi, limitando il più possibile i mezzi tecnologici, senza tenda e fornello, dormendo all’aperto per cercare un contatto intenso e duraturo con la natura. Negli anni successivi arrivò anche il momento di dire addio a strumenti classici di orientamento come le mappe, la bussola, un classico orologio.
Se è vero che conoscere le basi dell’orientamento naturale può tornare utile a escursionisti di qualsiasi livello, così come riuscire a considerare normale una situazione di spaesamento e risolverla grazie alla corretta interpretazione dell’ambiente circostante, le motivazioni che stimolano a recuperare il “senso dell’orientamento” sono però molto più profonde e riguardando anche gli spazi interiori, relazionali della nostra quotidianità. Infatti, saper distinguere e leggere determinati riferimenti per scegliere un percorso, evidente o incerto, non è altro che il fondamento della libertà umana. Sul lato opposto, come spiega Michieli nel suo libro, c’è il rischio di ritrovarsi su vie predisposte da altri, lasciandosi guidare da strumenti tecnologici, non solo sul terreno, ma ad esempio anche nel rapporto con l’informazione, la politica, l’economia o la cultura: se non leggiamo dal vivo e in maniera critica gli eventi oggettivi della realtà, non faremo altro che seguire come sudditi un flusso di parole e immagini prodotti da altri.
Fatti un regalo: perditi
In questa prospettiva priva di istruzioni sarà più semplice rischiare di perdersi. Ma siamo certi che sia davvero un rischio? La natura induce da sempre l’uomo a smarrire il percorso ed è anche così che abbiamo compiuto salti cognitivi e di consapevolezza, come risposta a quei momenti in cui la strada tracciata si è interrotta. “Non è un processo propriamente e solo
umano: in questo perdersi si muove tutta l’evoluzione della vita sul pianeta Terra“, spiega Michieli. A partire dai primi organismi unicellulari fino agli esseri dotati di coscienza, la biodiversità si è sviluppata grazie a “errori” di replicazione del DNA. La realtà procede ed evolve attraverso un metodo creativo, se ci pensiamo, si adatta all’imprevisto e procede grazie a esso. “Orientarsi nella natura è un’arte che abbiamo dimenticato”, continua Michieli, “perché non è più una nostra esigenza”.
Esistono però ancora popolazioni che hanno resistito all’urbanizzazione e che si muovono attraverso foreste, deserti e ghiacciai interpretando la natura. Sono persone in grado, per esempio, di trovare la via giusta in mezzo alla foresta pluviale grazie a incisioni praticate con l’unghia sulle foglie di un’unica specie di piante lungo un percorso. Oppure c’è anche chi è in grado di leggere, attraverso i banchi di nuvole nel cielo dell’Artico, le “mappe celesti” ossia un disegno che gli specchi d’acqua e i canali aperti nel ghiaccio marino proiettano su nubi chiare, e attraverso cui è possibile dedurre paesaggi navigabili o collegamenti tra lastre galleggianti. Si tratta di donne e uomini, che come gli antenati preistorici, hanno una visione olistica e relazionale del mondo attorno a sé. Difatti, mentre le nostre scoperte scientifiche, seppur fondamentali e preziose, tendono a separare le specie e a differenziare, chi ha ancora un vero rapporto con la natura è solito unire. Un’eccessiva classificazione degli animali, ad esempio, porta a credere che ci siano animali forti e deboli, quando invece sono necessari tanto lo scarabeo quanto il rinoceronte. Una visione che predilige la relazione tra gli elementi ci permetterebbe, al contrario, di capire molto meglio che ogni nostra azione ha degli effetti diretti sull’ambiente in cui viviamo e viceversa.
Dimenticare l’orologio per ritrovare il proprio tempo
Alla fine del maggio del 1985 Michieli, ventitreenne, camminava sugli altipiani disabitati della Norvegia meridionale. Era partito da circa due settimane per il suo viaggio più lungo, “la traversata integrale da Nord a Sud della penisola Scandinava”, un percorso di ben 150 giorni. Viaggiava con cinque amici fidati che lo hanno affiancato uno alla volta, eccetto per cinque settimane in cui ha proseguito da solo. Anche quando erano in due, avevano un solo orologio, per evitare pesi superflui. Le giornate – ci spiega Micheli – erano sconfinate, nella stagione del grande disgelo, il buio non arrivava mai e avanzando sui nevai, con gli sci da fondo legati agli zaini, il gruppo di esploratori doveva prestare attenzione ai torrenti in piena. C’era un solo crepuscolo, e riconoscere l’ora grazie alla luminosità non era semplice. Durante il guado di un torrente impetuoso, Michieli ricorda che il loro unico orologio si slacciò dal polso del suo compagno. Dopo un primo momento di spaesamento proseguirono adattandosi a ripartire e a fermarsi a seconda della sensazione che provavano in quel momento: “Imparammo a prenderne le decisioni ascoltando più noi stessi e l’ambiente, invece che facendoci influenzare dall’orologio”.
Micheli sottolinea come il legame che abbiamo con il tempo è spesso irreale e scandito da strumenti non naturali, per questo “è necessario recuperare il rapporto col tempo da un punto di vista più ampio”. Cambiare la relazione con il tempo può spingere a immergersi in un divenire del territorio che si vuole esplorare, può portare a ideare una lunga traversata che è “un’alternativa alle ascensioni singole, discontinue”, ma piuttosto “un’unica esperienza di lunga durata anziché tante puntate brevi”. È così che Michieli racconta del desiderio che sin da giovane lo ha spinto a intraprendere lunghi viaggi, come la traversata delle Alpi: “Alla base di questa volontà c’era l’intuizione che cambiare il rapporto con il tempo significasse accettare una relazione più intima con l’intero mondo alpino, divenendo io stesso un pezzetto di Alpi, così da poter sentire se gli eventi di ogni giorno fossero partecipi della mia avventura, o indifferenti”.
Andare al proprio passo in un concatenarsi di luoghi e incontri porta consapevolezza: ciò che conta è quel che accade, quel modo tutto personale che ognuno ha di intendere i fatti che gli succedono può divenire un’abilità, una guida nella vita che conduciamo. All’origine della fiducia a compiere viaggi impegnativi senza mappe né bussole c’è proprio il rapporto col tempo, un tipo di
tempo che oggi è quasi completamente perduto. Perché non ci si perde solo nello spazio, ma ancora di più nel tempo, e dal tempo. Senza orologio, protesi moderna, possiamo recuperare il nostro ritmo biologico, diventando più liberi e connessi con quello che ci circonda, meno stanchi e molto più capaci di orientarci.
Addio Robison Crusoe
Secondo le indicazioni di Micheli, è giunto il momento di liberare il nostro immaginario collettivo da un’idea di avventura legata a Robinon Crusoe, simbolo universale dell’uomo che, in totale isolamento grazie alla ragione che lo distingue da ogni altra creatura, riesce a modificare l’ambiente per piegarlo ai propri bisogni. Questo punto di vista antropocentrico allontana l’uomo dalla relazione corale con tutti gli elementi della natura, facendolo sentire protagonista e padrone di un mondo di cui in realtà è solo una parte. La civiltà attuale sembra aver rinunciato alla conoscenza profonda che arriva da esperienze di fatica, positive e libere, riassumibili in uno spazio di avventura, lasciando emergere fragilità e vulnerabilità umane solo in ambiti negativi, come malattie e guerre. Ecco quindi, che compiere dei piccoli viaggi per “sottrazione”, eliminando via via sempre più servizi e strumenti ci dona in cambio conoscenze perdute. Il tesoro nascosto di esperienze di contatto profondo con l’ambiente naturale non è solo l’intimità che si raggiunge con la natura, bensì anche la conoscenza di che cosa accade in situazioni in cui non è l’individuo ad avere il controllo, dipendendo da eventi molto più grandi e non umani. Insomma, senza aiuti artificiali è più probabile che avvenga qualcosa di eccezionale.
L’ autenticità, però, è un valore relativo: non è necessario esplorare una foresta pluviale o un ghiacciaio dell’Islanda per entrare in questa dimensione, per la maggior parte delle persone vivere piccoli momenti di spaesamento urbano e ritrovarsi, per esempio, alla periferia della città tra campi e boschetti mai visti prima potrebbe essere un buon modo di iniziare. L’orientamento naturale, in questo senso, non è altro che “un ritorno ad abbracciare selvaticamente il mondo”. Passare attraverso stati di spaesamento ci permette di scoprire, se sappiamo sentirle, risposte autentiche. È la relazione stessa con gli eventi e il modo in cui tale relazione ci accompagna a farci trovare le soluzioni. L’attenzione si intreccia alla serendipità, laddove l’orientamento naturale alla fine non è che “un viaggio verso la compagnia del mondo“.
L’importanza della sicurezza
La sicurezza, però, non va mai dimenticato, è fondamentale: spesso molte attività performative dell’outdoor oggi ne fanno uno slogan eppure continuano a esserci numerosi incidenti gravissimi, questo anche perché, talvolta, contare troppo su mezzi tecnologici abbassa la reale percezione del rischio; l’avventura è positiva se si svolge in equilibrio tra le nostre capacità e le difficoltà proposte dal percorso facendosi celebrazione della vita.
Michieli conclude la chiacchierata spiegandoci un’abitudine a cui non riesce a rinunciare, che sia un viaggio o meno: “Dare un’occhiata al sole quando capita di vederlo e automaticamente pensare da che parte è in quel momento e che direzione sta indicando. Oppure alla sera, semplicemente chiudendo le imposte delle finestre, individuare la Stella Polare come abitudine fissa, potermi dire che – fuori c’è l’Orsa – e che – si vede Cassiopea -. È un istante soltanto quei pochi secondi in cui si chiude la finestra prima di andare a dormire, ma si apre il momento per riconoscere il Polo Nord celeste. È la quotidianità di mantenere questo rapporto con le direzioni del mondo“.