Le Iene mostrano l’inferno di Yulin ma piangiamo per i motivi “sbagliati”

Il servizio, andato in onda durante la trasmissione giornalistica, ha mostrato per bene e con tante difficoltà, che cosa accade a Yulin dove carne di cane e gatto sono cibo.

Non avevo grossi dubbi sul fatto che avrei pianto guardando il servizio che Giulia Innocenti e Francesca Di Stefano hanno realizzato nel sud della Cina dedicato al commercio e al consumo della carne di cane e di gatto. Dopo cinque anni di lavoro qui a Vegolosi.it, ammetto di aver pianto spesso anche davanti alle immagini dei macelli nostrani, dove la nostra cultura ci mette nelle condizioni di accettare come “normale” la macellazione di maiali, mucche, agnelli, polli, conigli, tacchini. Alcune volte mi sono trattenuta perché non sarebbe stato professionale davanti a chi lavora con me, alcune perché, alla fine, un po’ orrendamente, ti abitui e certe scene che arrivano dagli attivisti di tutto il mondo (persone che dovrebbero prendere il Nobel per la pace ogni anno, a mio parere).

Questa volta quello che mi ha fatto crollare, però, non sono state solo le immagini delle crudeltà perpetrate ai danni di centinaia di cani e gatti rinchiusi nelle gabbie, picchiati a morte, bolliti e poi spellati e macellati in strada, bensì ho pianto di rabbia. Mi sono resa conto che quel dolore lo sentivo più forte solo ed esclusivamente perché io di cani in casa ne ho tre e non sono “animali domestici”, ma fanno parte effettiva della mia famiglia, ne sono membri (ci litigo anche, per capirci, anche se poi facciamo pace, chiaramente).

La “prossimità” è quello che ci indigna, ciò che fa scattare in tutti noi quel sentimento di empatia che non riesci a controllare. Più è vicina una cosa, una persona, una specie animale, più il suo dolore diventa insopportabile: perché  sei consapevole di quello che provano quei cani e quei gatti, negli anni hai imparato quanto siano esseri complessi a livello psicologico, quanto le loro vite siano ricche emotivamente. Molti di noi, io compresa, invece, con una mucca o un maiale o una gallina, non hanno mai vissuto, non le “conoscono”; non le percepiamo come prossime, ed è solo questo che permette che ogni anno miliardi di animali vengano torturati e uccisi negli allevamenti per creare prodotti di cui sappiamo benissimo di poter fare a meno.

Piango, quindi, non solo vedendo il dolore, la passione e lo strazio di Davide Acito, ragazzo italiano che ha fondato la  Action Project Animal per cercare di salvare alcuni dei cani di Yulin (con risultati incredibili), non solo per i guaiti dei cani picchiati e i miagolii senza pace dei gatti che aspettano la loro fine (che conoscono), ma piango di rabbia per tutti coloro che, invece, ancora non sono riusciti ad allargare il raggio della loro conoscenza e consapevolezza, rendendosi conto che Yulin è Milano, Yulin è Parma, Yulin è Caserta, Napoli, Mantova… è dovunque, perché dovunque gli animali che non conosciamo a causa della nostra cultura, sono considerati solo cose, macchine metaboliche per ottenere cibo.

Allora allarghiamo il cerchio della nostra visione, della nostra intelligenza emotiva, e impariamo a capire che non è Yulin il problema, il problema è la nostra evoluzione culturale. La prima cosa che possiamo fare è cambiare la nostra alimentazione da oggi, subito: la prima risposta a questa ecatombe si chiama veganesimo, è facile, facilissimo ed è moralmente imprescindibile fare questa scelta nella nostra epoca. Perché? Perché non c’è un solo motivo per non farlo, ma ce ne sono miliardi per farlo.

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