“Carne rossa che non fa male”: lo studio finanziato dall’industria delle carni bovine

Non si placano le polemiche sullo studio che riabilita il consumo di carne rossa: le inchieste dei giornali americani svelano la rete di finanziamenti che collega la ricerca alle industrie della carne e dell’agroalimentare

Ci sarebbe un forte conflitto di interesse alla base dello studio pubblicato un paio di settimane fa sulla rivista “Annals of Internal Medicine” che, sollevando molte polemiche, pareva aver riabilitato su base nutrizionale il consumo di carne rossa. Alcune inchieste pubblicate sul “New York Times” e poi sul “Washington Post” hanno, infatti, messo in luce i legami, non divulgati al momento della pubblicazione dello studio, tra i ricercatori che lo hanno condotto e le realtà che lo hanno finanziato, riconducibili all’industria della carne e dell’agroalimentare.

Lo studio del gruppo NutriRECS

La ricerca contestata è, di fatto, una revisione dei principali e più recenti studi effettuati sul tema della correlazione tra il consumo di carne rossa e il mantenimento di uno stato di salute ottimale. La conclusione alla quale i ricercatori del gruppo NutriRECS sono arrivati è che, proprio sulla base di questi studi, il legame tra i due fattori risulterebbe troppo debole per poter avere rilevanza scientifica. Da qui, la conclusione emessa in termini di indirizzo, ovvero: non ci sono sufficienti dati scientifici consolidati per suggerire alle persone un cambiamento di alimentazione che vada nella direzione di una riduzione del consumo di carne come forma di prevenzione verso patologie quali tumori e malattie cardiovascolari. Indicazione che ha subito sollevato le proteste di larga parte della comunità scientifica internazionale impegnata nella ricerca su queste tematiche, che da anni suggerisce la necessità di una diminuzione dei consumi di carne rossa proprio in un’ottica di prevenzione della salute. Critiche alle quali i ricercatori di NutriRECS hanno risposto difendendo i criteri e gli standard scientifici adottati per la ricerca.

 

Il conflitto di interessi

Quello che emerge, però, dalle inchieste dei quotidiani americani è che il ricercatore a capo dello studio, Bradley C. Johnston, epidemiologo alla Dalhousie University in Canada, avrebbe dichiarato, in quelle che sono le procedure per l’accreditamento di studi scientifici come questi, di non avere da segnalare alcun conflitto di interesse relativo alla sua attività degli ultimi tre anni. Invece, ha rivelato il NYT, proprio Johnston nel 2016 è stato l’autore di uno studio che ha messo in discussione le linee guida sulla diminuzione dei consumo di zucchero, pure apparso sugli “Annals of Internal Medicine”, finanziato dall’Ilsi, l’International Life Sciences Institute, ente supportato finanziariamente da aziende dell’agroalimentare quali Mc Donald’s, Coca Cola e Cargill, leader della trasformazione di carne bovina del Nord America. Johnston si è difeso sostenendo che le sue relazioni passate con l’Ilsi non avrebbero influenzato in alcun modo lo studio sulla carne e di non averle dichiarate perché i fondi ricevuti per la ricerca sullo zucchero sarebbero arrivati primi dei tre anni richiesti come “finestra” di garanzia per la non sussistenza di conflitto di interessi.

Ma il quotidiano americano svela anche altri retroscena, come per esempio il fatto che ai tempi dello studio sullo zucchero Johnston affermò che l’Ilsi non aveva avuto voce in capitolo sulla ricerca, salvo poi essere smentito da un’inchiesta dell’Associated Press che rivelò come, invece, l’ente avesse dato il suo via libera prima della pubblicazione.

Dubbi ulteriori li ha sollevati anche il “Washington Post” che, in una seconda inchiesta, ha svelato i legami tra il gruppo NutriRECS che ha condotto sullo studio sul consumo di carne e Agrilife, ramo della Texas A&M University finanziato dall’industria delle carni bovine. NutriRECS avrebbe ottenuto un forte supporto da Agrilife, ma anche questo secondo conflitto di interessi tra il gruppo di ricerca e l’industria della carne non sarebbe stato dichiarato dai ricercatori.

La posizione degli “Annals of Internal Medicine”

Di fronte a tutte queste rivelazioni, chi non ha preso posizione è la rivista che ha pubblicato lo studio. Come riportano i giornali americani, la caporedattrice degli “Annals of Internal Medicine”, Christine Laine, avrebbe rimandato all’integrità e all’onestà dei ricercatori la necessaria dichiarazione di eventuali conflitti di interesse dichiarando che per la rivista ciò che conta in termini di validazione dello studio è la trasparenza dei metodi scientifici adottati per l’anali dei dati.

Posizione che non frena le polemiche sullo studio che, già al momento della pubblicazione, fu duramente contestato nel merito da larga parte del mondo scientifico proprio per i criteri di analisi adottati, oltre che per le conclusioni alle quali è arrivato. Si aggiunge ora quest’ombra sulla trasparenza, che rilancia un dibattito sempre aperto nel mondo scientifico su quelle che dovrebbero essere le regole connesse al finanziamento degli studi e alle modalità con le quali tali sovvenzioni dovrebbero essere comunicate al pubblico, soprattutto in casi come questo del gruppo NutriRECS, quando gli studi puntano a esprimersi in termini di linee di indirizzo sulla salute.

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