Prodotti vegetali: c’è una proposta di legge per impedire i nomi che “imitano” la carne

Niente “bistecca di tofu” sugli scaffali, non con questo nome, se questa proposta verrà approvata dal Governo.

Nomi prodotti vegetali legge

Lo scorso 29 Dicembre il Presidente della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, Mirco Carloni ha presentato al parlamento una proposta di legge denominata “Disposizioni in materia di denominazione dei prodotti alimentari contenenti proteine vegetali”: l’obiettivo è quello di vietare che prodotti di origine vegetale possano essere messi in commercio con nomi che richiamino quelli di alimenti di origine animale. Niente più “cotolette” di soia,  wurstel di tofu o bresaola vegan sugli scaffali, nel caso.

Perché questa proposta?

Secondo il testo della proposta di legge l’obiettivo è “tutelare le produzioni zootecniche del nostro Paese da coloro che vogliono offrire alternative di consumo, sfruttando i nomi normalmente riferiti a carne e prodotti a base di carne con la propria notorietà”.
Nel testo della proposta quello che è accaduto nel mercato agroalimentare negli ultimi anni è “disdicevole”: “Il mercato agroalimentare in questi ultimi anni ha visto il proliferare di alimenti a base vegetale posti in commercio con l’uso distorto di nomi riferiti alla carne e ai prodotti a base di carne. La diffusione di denominazioni come «bresaola di seitan», «bistecca di tofu» o «prosciutto veg» rende evidente un fenomeno tanto disdicevole quanto diffuso“.

Il tema sarebbe, questa volta, non tanto legato alla questione della possibile “confusione” che attanaglierebbe il consumatore nel non riuscire a distinguere una “veg-bresaola” da quella “della Valtellina” (che nel disciplinare IGP permette l’uso di carni di zebù brasiliano, per esempio, basta che questa vengano lavorate sul territorio lombardo) bensì dal far credere al consumatore che i due prodotti abbiano proprietà nutrizionali simili:  “Ci si trova così – si legge nella proposta di legge – a proporre al consumatore delle alternative di consumo che non hanno lo stesso apporto, ricchezza e valore nutrizionale.  Gli alimenti di origine zootecnica, è bene ricordarlo, sono gli unici a riuscire ad apportare nelle giuste quantità determinati nutrienti essenziali come le proteine e gli amminoacidi e, nelle giuste proporzioni, si inseriscono correttamente in un regime nutrizionale bilanciato”.

La risposta delle associazioni

Questo documento arriva da Mirco Carloni che recentemente durante un suo intervento istituzionale ad un evento Coldiretti a Cosenza si è detto anche contrario anche al “cibo sintetico che fa tanto figo” ma che in realtà non sarebbe affatto più sostenibile di quello animale, anzi “ci sono delle menzogne di fondo che vanno chiarite – ha dichiarato – perché devono sapere che non è vero che per produrlo non si uccidono animali, perché le cellule che si usano vengono prelevate da animali uccisi, in più abbiamo il siero fetale bovino…”.

Entrambe le affermazioni non sono corrette: come abbiamo spiegato anche in numerosi articoli e interviste a chi questi processi li sta studiando, le cellule staminali possono essere prelevate senza nessun tipo di danno all’animale e si sta superando con ottimi risultati anche l’uso del liquido di coltura di origine animale.

È evidente che il problema non ha a che fare con le questioni nutrizionali, bensì con una pressione evidente delle alternative vegetali sul mercato zootecnico e su una sua crisi che è culturale. Il sistema zootecnico si basa su processi che sono invecchiati e che non sono efficienti dal punto di vista della produzione e del suo impatto ambientale. Per esempio, come ha evidenziato di recente uno studio italiano sul tema,  il rapporto mondiale fra produzione di calorie di origine animale e territori impiegati e incredibilmente svantaggioso e provoca tassi di deforestazione enormi e non più immaginabili se si vogliono tamponare gli effetti di una crisi climatica già in atto. Tutto questo, tralasciando la questione etica: la prigionia, la tortura e la morte degli animali non necessari per la produzione di cibo e nel 2023 questa barbarie andrebbe superata.

L’associazione animalista Essere Animali è intervenuta sulla questione lanciando una petizione che punta a raggiungere 40mila firme per dire chiaramente che i consumatori non sono affatto preoccupati dal fatto che queste denominazioni rimangano intatte. “Non è solo l’Italia purtroppo a subire gli attacchi della lobby zootecnica: leggi simili sono state proposte in Francia Repubblica Ceca. Nonostante non ci sorprenda che l’industria dell’allevamento si senta minacciata dall’avanzata delle alternative vegetali, questo tentativo di censura per noi è molto grave e per questo ci mobiliteremo. Anche perché secondo un recente sondaggio di Beuc (The European Consumer Organization) l’88% degli italiani è favorevole o non considera problematico l’utilizzo di questi termini anche per le alternative veg”.

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