Conigli: a Treviso chiudono 60 allevamenti su 100 ma sono ancora troppi gli animali allevati

La situazione in una parte del nostro paese sembra mostrare una nuova sensibilità nei confronti di questo animale

La zona del trevigiano è centrale nell’allevamento dei conigli “da carne” eppure queste strutture stanno chiudendo i battenti. Durante un incontro di Confagricoltura Treviso, sono emersi dati interessanti: negli ultimi 5 anni sono stati chiusi 60 allevamenti su 100 nella zona.

Qual è il motivo di questo blackout economico? Il primo sembra essere la mutata sensibilità dei consumatori nei confronti di questo animale che è sempre più considerato solo come animale da compagnia; il secondo che questo mercato è da sempre di nicchia. “Stiamo parlando di un comparto – ha spiegato Cristiano Diotto, presidente dei cunicoltori di Confagricoltura Treviso, – rivolto ad un animale non facile da allevare e che richiede investimenti importanti. Quindi di un’attività che è stata progressivamente abbandonata a favore di attività agricole più redditizie”.

 

Una delle immagini tratte dall’inchiesta condotta nel 2014 da CIWF

E’ davvero la fine?

Rimane un fatto: il nostro è il paese nel quale si allevano in assoluto più conigli che finiranno nei piatti,  nche da esportare all’estero con una stima di 175 milioni di animali costretti, per la loro brevissima vita, a vivere in condizioni orribili, come mostrato da numerose inchieste di associazioni animaliste e non solo. Nel 2014 CIWF (Compassion in World Farming) mostrò i risultati di un’indagine realizzata in 5 paesi che mostrava le condizioni di 16 allevamenti di conigli e le situazioni spaventose nelle quali erano costretti a vivere questi animali.

Anche LAV in collaborazione con Animal Equality, fece il punto sulla situazione dell’allevamento di questi animali con la campagna “Coraggio Coniglio“, raccontando per filo e per segno la vita “vera” di questa specie: “In un allevamento, se è fortunato, un coniglio vive fino a 12 settimane. Le passa chiuso in una gabbia grande più o meno quanto lui (orecchie escluse) per poi finire nuovamente, ad 80 giorni di vita, in un’altra gabbia ancora più piccola e affollata, e caricato su un camion. Dopo un lungo viaggio al sole o sotto la pioggia, esposto ai bisogni dei compagni di sopra, il coniglio giunge infine a destinazione esausto, quando vivo. È l’ora del macello”.

Gli animali in gabbia, in attesa del macello

Il consumo di carne di questi animali è ancora molto alto nel nostro paese: “Ogni italiano consuma 2,6 chili di carne di coniglio l’anno – spiega la LAV – soprattutto nelle regioni del CentroSud. In Campania si registra il consumo pro capite più elevato, circa 10 chili”. Altro gravissimo problema è l’assenza di una normativa: “Si tratta di un business “fuori controllo” – continua LAV – l’allevamento dei conigli non è regolamentato da norme sulle condizioni degli animali; i parametri d’intensività non sono contestati perché non vi sono standard di riferimento”.

L’unico modo per mettere fine a questa barbarie è scegliere di non mangiare più questi animali, anzi, nessun animale: l’alimentazione 100% vegetale è una strada facile, semplice e gustosa (oltre che sana).

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