Chi sono i “nazivegani”? Fenomenologia di una stupidaggine

Il termine racconta molti aspetti di un dibattito che si sta facendo sempre più complicato e in cui gli errori si sprecano

nazivegano

La paternità di questo odioso neologismo pare essere da attribuire al conduttore e giornalista Giuseppe Cruciani che però gioca una partita, ad armi pari, insieme a “Il Giornale”. Indipendentemente dall’origine, avrete certamente sentito utilizzare questo termine sui social, oppure in qualche dibattito televisivo. L’obiettivo di questa sorta di epiteto (per niente omerico) è di definire una persona vegana e animalista in vari contesti, spesso legati a risse verbali vere o a botte da orbi metafisiche attraverso il social prescelto.

Che cosa significa “Nazivegano”

In generale il termine sta ad indicare tesi estreme, atteggiamenti aggressivi o di colpevolizzazione verso chi “mangia come gli pare”. Ovviamente il nazismo non c’entra nulla, se non altro perché per la maggior parte di coloro che scelgono di mangiare vegano, l’obiettivo è proprio quello di porre fine, con un’azione che diventa un messaggio pratico, allo sterminio industrializzato, meccanico e senza scopo di miliardi di animali ogni anno.

L’utilizzo di questo neologismo orrendo però, fa il pari e in un certo senso sostiene, una visione abbastanza chiara e radicata ossia quella che valuta le persone vegane come “estreme” tanto è vero che “estremista vegano” è un’altra espressione largamente ascoltata e letta negli ultimi anni. Che cosa c’è di estremo? In realtà assolutamente nulla se non l’idea che alla base della scelta alimentare priva di carne e derivati ci sia in realtà una rinuncia ai piaceri della vita, al buon cibo, e persino ad una buona salute fisica, il tutto “solamente per gli animali”. Questa idea è ovviamente errata dato che l’alimentazione vegana, non è affatto fatta di privazione bensì di scelte e di un ampliamento generale della propria visione e cultura culinaria.

Il vero estremismo sta nel non voler ascoltare le ragioni di questa scelta, nel girare la testa dall’altra parte, di sostenere che “mangiare quello che si vuole” è una libertà a cui non si può né si deve rinunciare. La libertà, però, non può essere “ignorante” perché le nostre azioni, anche le più piccole, hanno conseguenze enormi su chi e ciò che ci circonda.  Il nostro Pianeta sta patendo tutte, una per una, le conseguenze delle azioni compiute: i mari si stanno svuotando, il riscaldamento globale è una realtà, l’antibiotico resistenza diventa un’emergenza sempre più grave per la salute mondiale e gli allevamenti intensivi sono i peggiori inferni che una mente possa immaginare. Se essere nazivegani significa parlare con intelligenza ed educazione di tutto questo, spaccando quel diaframma opaco che divide la nostra abitudine alimentare dalla realtà, allora forse questo “nazismo” non è certo da debellare, perché la consapevolezza è una meta da raggiungere, e non è più tempo (ma non lo è mai stato, in verità) di ignorare quello che accade oltre il nostro frigorifero e la nostra gola.

Errori? Avanti c’è posto

Il termine, detto questo, è orrendo ma spesso utilizzato per definire anche errori grossolani che arrivano proprio da parte di chi, invece, sostiene la scelta vegana e difende i diritti degli animali, che tradotto significa: la cultura vegana ed animalista fa errori clamorosi di approccio, di comunicazione e di strategia. L’aggressività, gli insulti e il partire dal presupposto che la visione animalista e antispecista possa essere chiara e limpida a tutti, sono davvero una pessima idea: chiunque di noi è diventato vegano saprà bene qual è stato il proprio punto di partenza e che cosa lo ha mosso ha cambiare visione, e certamente non è stato vedere un gruppo di animalisti che dava della poco di buono ad una donna in pelliccia o augurare qualche brutta malattia come “punizione” per aver consumato carne o cacciato un fagiano nel bosco.

I “nazivegani” non esistono, come non esistono “i vegani” come partito politico coeso, come gruppo sociale pronto alla rivoluzione: seguire la scelta vegana è qualcosa di singolo, profondamente personale, pensato, ragionato, intimo, che può essere facilmente comunicato e condiviso a chi ci sta davanti mettendosi empaticamente e con intelligenza e profonda conoscenza dell’argomento nei suoi panni, che erano anche i nostri, fino a qualche tempo fa.

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