Il mattatoio è una favola e non renderà gli animali liberi: il libro di Massimo Filippi
Il libro del professor Filippi ci accompagna non per mano, ma con dei grandi scossoni del pensiero, verso la caverna buia della nostra abitudine: gli animali sono morti viventi a causa nostra

Il libro di Massimo Filippi, professore ordinario di Neurologia all’Università “Vita e Salute” di Milano, non è semplice. Si tratta di un pamphlet filosofico, di quella filosofia che fa il suo mestiere ossia creare quelle che i giapponesi chiamano pietre d’inciampo sulla via del tè: occasioni per fermarsi e riflettere.
Una delle tesi del libro è la definizione di “mostro”: se siete fra coloro che hanno eliminato il velo di Maya dal proprio sguardo vedendo che cosa si nasconde dietro gli allevamenti intensivi e la produzione di carne, latte e suoi derivati, saprete bene che quei mostri, beh, siamo (stati) proprio noi. Chi dissente, chi interrompe il programma che ripete norme sempre uguali a sé stesse, chi taglia di netto il recinto delle tradizioni (culinarie e di pensiero) è un nuovo mostro: è colui che spesso va emarginato, allontanato o, con meccanismi vecchi di secoli, deriso e chiuso nella stanza del “E’ solo un po’ alternativo, segue le mode”. Filippi spiega che i mostri sono coloro che stanno cercando di creare un “esodo dall’umano” inteso come base stessa dell’antropocentrismo e del concetto di specie (concetto complesso, la cui decostruzione è al centro del testo dell’autore). Ci si allontana dall’uomo inteso come struttura che per secoli prima di noi è stata pensata, creata, formata: l’uomo bianco, eterosessuale, sano. L’esodo ci avvicina ad una meta che però, nel testo edito da Ombre Corte, non è possibile definire, perché è ancora da costruire.
Non si esce vivi dallo specismo
E poi lo specismo, la specie, l’animale, l’uomo, il soggetto. Secondo Filippi il concetto di specie non è altro che una favola, è quel modo di raccontare l’uomo che si è allontanato dalla sua natura ed è il modo attraverso il quale il “naturale” è neutrale, quando, invece, non lo è affatto. Ossia: la cultura dominata dalla visione umana presenta come naturale ciò che non ha nulla di neutrale perché è formulato con il solo scopo di raggiungere il benessere umano. Permettendoci una divagazione pop per alleggerire la riflessione, possiamo dire che come Manuel Agnelli e i suoi Afterhours cantavano “Non si esce vivi dagli anni ’80” così Filippi spiega “Non si esce vivi dallo specismo” che, insieme al concetto di specie è un “centro vuoto” perché genera in sé le sue stesse definizioni.
Gli animali sono morti viventi
Il mattatoio e l’industria sono le favole, e non certo perché esista un lieto fine, bensì, perché, come accade con i fratelli Grimm e compagnia, spiega con metafore e iperboli colorate una realtà devastante per la sensibilità umana (sapete che Cappuccetto rosso è una favola per mettere in guardia le bambine dalle violenze, sessuali e non, da parte degli uomini, per esempio?). La favola serve a digerire l’orrore, serve ad alienare noi dal nostro cibo. La favola racconta “la naturalezza del morire”, nasconde gli animali “affinché possa esistere la carne”. Gli animali sono spettri e come tali – spiega Filippi – si rigenerano nei mattatoi, che è “un sistema senza fine, uno sterminio per moltiplicazione che mette al mondo incessantemente vite con il solo obiettivo di ammazzarle”. Ed infine l’animale è fantasma ed è questo che colpisce più di ogni altra cosa nelle immagini che le associazioni animaliste ci permettono di vedere dagli allevamenti: sono esseri viventi che stanno in un limbo, ne vediamo già il futuro, vediamo già, noi che ne abbiamo consapevolezza, quello che sarà di loro, a causa nostra. E’ questo che ci fa piangere.
L’invenzione della specie. Sovvertire la norme, divenire mostri
Massimo Filippi
Edizioni Ombre Corte
13,00 euro
120 pagine
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