No, il veganismo non è una dieta
Il veganismo è un movimento politico e filosofico che ha obiettivi rivoluzionari: serve ricordarlo per non perdere il senso di ciò che si fa.
Succede sempre più spesso di leggere o ascoltare persone che spiegano: “Io ogni tanto mangio vegano, mi piace”. Per carità, a me che da 12 anni dirigo un sito e un mensile che si occupano di cultura e cucina vegana, fa piacere, se non altro perché non è l’ennesima dichiarazione che osteggia questa scelta o che ne parla come fosse una delle sette piaghe d’Egitto. Però, fermandosi un attimo a pensarci, è una dichiarazione che mostra un lato molle della comunicazione sul veganismo.
Il veganismo, che ufficialmente viene nominato negli anni Quaranta del Novecento grazie a due ex vegetariani, Dorothy e Donald Watson, ma che le sue radici filosofiche le affonda ben prima nell’antica Grecia, è un movimento politico, filosofico a carattere etico e morale, e non una “semplice” scelta alimentare, una dieta. Detto da noi che abbiamo un giornale che si occupa, oltre che di informazione anche di ricette appare un pochino controproducente, ma poi ci arriviamo.
L’alimentazione vegana è in realtà solo una derivazione inevitabile che scaturisce dalla volontà politica e filosofica di ottenere quella che venne definita da Peter Singer nel 1976 “liberazione animale”. Si tratta di un ragionamento che poggia le sue basi su un altro assunto importante, anzi imprescindibile: l’antispecismo, ossia l’idea è che l’uomo non sia affatto al centro del mondo bensì un animale (con caratteristiche altamente peculiari) in mezzo ad altri animali (con caratteristiche altrettanto peculiari).
Da questo ne deriva che l’uomo non ha il diritto di imprigionare, seviziare, torturare e violare il corpo di altri animali per scopi che non siano legati alla pura sopravvivenza, così come farebbero una tigre o un orso con noi. Il modo principale attraverso il quale questo accade è la produzione di cibo animale, compresi latte, uova e formaggi. Poi ci sono l’industria della moda (pelle, pellicce), quella dell’intrattenimento (circhi, acquari, zoo) e, infine, la ricerca scientifica (sperimentazione) e la produzione di farmaci (ingredienti di origine animale).
Giunti al 2025 sui gomiti con una crisi climatica che sta mostrando i denti, sappiamo scientificamente che donne, uomini e bambini possono vivere tranquillamente senza nutrirsi di alimenti di origine animale e vestirsi senza indumenti di origine animale mentre, al momento (proprio a causa dell’antropocentrismo e degli scarsi finanziamenti alla ricerca di metodi alternativi) non ci sono facili alternative ad una parte della sperimentazione animale per il progresso delle conoscenze scientifiche e per la cura delle malattie.
Insomma: una grossa fetta del modo in cui possiamo decidere politicamente di non far più parte del sistema specista è quello di cambiare alimentazione, modo di vestire e modo di acquistare. La forza che abbiamo per le mani (soprattutto nell’Occidente ricco e in quelle zone di mondo in cui l’assunto economico è il capitalismo) è quello di non usare i nostri soldi per comprare da chi produce sfruttando gli animali.
Questo però non significa che “mangiare ogni tanto vegano” sia veganismo o comprensione del movimento, né tanto meno adesione ad esso. Mangiare vegano è la inevitabile derivazione di una scelta a tutto tondo che deve, per essere in parte efficace, partire da una consapevolezza e da una decisione di base molto netta: non partecipare al sistema di sfruttamento animale.
Questo significa che “mangiare vegano per un mese” o “ogni tanto” è inutile? Non del tutto ma solo se è prodromo alla volontà di comprendere perché lo stiamo facendo mettendo in primo piano l’obiettivo filosofico e non quello della salute personale o della pur importantissima questione ambientale. Il veganesimo è questo prima di tutto: un movimento di rivoluzione.
Le scelte pratiche che da esso derivano hanno inevitabili conseguenze anche sull’ambiente e sulla nostra salute perché, lo dicevo all’inizio, siano animali su un pianeta che ha regole che stiamo tentando di invertire e piegare da centinaia di anni, come spiegarono bene gli autori del Rapporto sui limiti dello sviluppo nel 1972.
Ora, venendo a noi: certo, Vegolosi.it e Vegolosi MAG (il nostro mensile digitale), parlano per il 50% di cucina, ma affiancano a questa parte “ludica” anche quella informativa che è dirimente. Certo, accogliamo tutti sul nostro magazine e sui nostri social perché vogliamo che più persone possibili, per prima cosa, vincano un pregiudizio sul mondo vegan e uno dei modi più rapidi è facendogli cucinare una Sacher vegana da far girare la testa ma, nel frattempo, spieghiamo anche perché lo facciamo e perché tutti dovremmo farlo.
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