La “crisi” di Beyond Meat è un segnale di crisi delle alternative alla carne?

L’azienda americana Beyond Meat produce burger e sostituti della carne realizzati con ingredienti vegetali. È stata una delle pioniere di questo mercato con l’obiettivo di creare prodotti che imitassero nel gusto, nell’aspetto e nelle caratteristiche tecniche la carne bovina, di pollo e suina. Nel secondo trimestre di quest’anno l’azienda, quotata in Borsa, ha annunciato una perdita delle entrate pari al 31%. Quasi subito una buona quantità di articoli hanno iniziato a suonare le campane a morto per tutto il comparto e, per osmosi, anche per l’alimentazione vegetale. È davvero così?

Senza dubbio il dato di Beyond segue una serie di trend negativi per questa azienda che, dopo essere atterrata in Borsa con un successo senza precedenti, ha lentamente accusato il colpo. Le analisi economiche spiegano la situazione con un aumento sostanziale dei costi di produzione al quale si è aggiunta una crisi economica che ha portato le famiglie (parliamo specialmente del mercato americano e anglosassone) a scegliere di mangiare carne “normale” oppure di optare per opzioni vegetariane e vegane meno costose, come i prodotti non lavorati come i legumi, una delle principali fonti di proteine non animali. Inoltre un enorme passo verso la diminuzione di un terzo dei consumi verso questi prodotti va imputato ad una campagna enorme del mondo dei produttori della carne per screditare queste alternative mostrando come non solo non siano economiche, bensì anche non poi così sane. Lo scenario che si presenta, quindi è il seguente: chi è vegetariano o vegano davanti a prezzi alti sceglie altri prodotti, chi è onnivoro ma tentava il passaggio viene scoraggiato dai prezzi (non concorrenziali con la carne di fascia medio-bassa che Beyond imita) e dall’idea che questi prodotti non siano nemmeno poi così sani.

Quello che non viene spiegato però è che anche il settore della carne non naviga in buone acque e sono gli stessi operatori del settore a spiegarlo. Da una parte anche il settore zootecnico soffre la crisi, dall’altro esiste una flessione generale, soprattutto in Italia, della produzione con parecchi allevamenti che hanno chiuso, nonostante la domanda non sia diminuita. Ed ecco che la crisi della carne, soprattutto in Europa, ha il volto dell’aumento delle importazioni dall’estero, in particolare dagli Stati Uniti, dal Brasile e dalla Cina.

Esistono però alcune differenze sostanziali fra lo scenario della carne vegetale e quella tratta dai corpi animali. La prima è che i governi sono immediatamente allertati davanti a dati negativi o leggermente in flessione del comparto zootecnico. In Europa e in Italia soprattutto con la nuova dirigenza politica, ai primi segnali di “stress” del settore vengono stanziati fondi (nazionali o europei) per “discutere piani di rilancio”, per esempio, come ha già dichiarato l’assessore lombardo all’Agricoltura e Sovranità alimentare Alessandro Beduschi. Chiaramente si tratta di mercati diversi, ma è evidente che il sostegno dei governi al comparto delle carni e dei formaggi è sempre presente (vedasi il trattamento di “favore” che l’ex presidente Donald Trump dedicò alle multinazionali della carne durante la pandemia da Covid-19 e che portò non solo una stabilizzazione del mercato ma anche enormi danni ai lavoratori). 

Il mercato delle alternative alla carne, invece, non gode di nessun piano di rilancio pubblico, mai, ma nemmeno di un tentativo di non mettergli i bastoni fra le ruote con una informazione generalista sempre soggiogata dai sistemi pubblicitari. In sintesi parlare male delle alternative alla carne che cercano di tagliare le gambe ad un comparto così “coccolato” dai governi, non conviene a nessun giornale (a meno che non sia completamente sostenuto dai suoi lettori) perché, ancora oggi, i più grandi investitori pubblicitari nei media (giornali, televisioni e  radio) sono aziende che producono carne e derivati.

Sono molti i riferimenti in articoli e servizi giornalistici al fatto che le alternative alla carne siano ricche di sale e spesso non del tutto equivalenti a livello proteico rispetto alla carne animale. Ma in questa comunicazione manca un pezzo: ossia che questi alimenti non devono sostituire la carne in un’alimentazione equilibrata perché anche in quest’ultima le porzioni dovrebbero essere decisamente ridotte rispetto al consumo che poi davvero se ne fa. Insomma, così come non si dovrebbero mangiare burger, salsicce, formaggi e insaccati ogni giorno (con il loro portato di proteine ma anche di grassi saturi, colesterolo e sale) così non andrebbe fatto con le alternative vegetali (ricche di proteine, a volte di grassi saturi, ma certamente prive di colesterolo).

Ma questa si chiama “complessità” e “futuro” e questa comunicazione sbatte la faccia contro pregiudizi che sono creati dagli stessi che, oggettivamente e facendo il proprio lavoro, dovrebbero indagare a abbattere.

Quindi, no, le vendite in calo di Beyond non sono la fine della “bolla delle alternative alla carne” come commenta Aine Carlin sul The Guardian in un editoriale, ma certamente questi prodotti patiscono un contesto culturale ampiamente contrario (e contrariato) davanti alle possibilità che non contemplino l’abbattimento degli animali. Una riprova ne è la guerra completamente infondata che il governo Meloni sta facendo all’ipotesi di ricerca sulla carne coltivata.

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