Harambe, si poteva evitare di ucciderlo? Etologi di tutto il mondo rispondono

Il dibattito sulla morte di Harambe, a una settimana di distanza, è ancora vivissimo. E’ stata necessaria per salvare una vita umana? Cosa ne pensano gli esperti?

harambe

La storia di Harambe, il gorilla ucciso dai responsabili dello Zoo di Cincinnati qualche giorno fa continua a far discutere. Sabato 28 maggio, i responsabili della sicurezza dello Zoo di Cincinnati (Ohio) hanno abbattuto Harambe, un raro esemplare maschio di gorilla di pianura occidentale di 17 anni, allo scopo di proteggere un bambino di 4 anni accidentalmente caduto nella sua gabbia. Immediate le reazioni da tutto il mondo tra chi difende e giudica inevitabile l’operato dei guardiani dello zoo e chi attacca i genitori del bambino per averlo incoscientemente lasciato libero di arrampicarsi sulla recinzione condannando a morte l’incolpevole Harambe (i genitori sono attualmente sotto inchiesta). Una domanda assilla l’opinione pubblica e i media: la morte di Harambe si poteva evitare?

Cosa dicono gli esperti

“E’ difficile dire se sia stato un comportamento aggressivo o un’interazione giocosa” afferma Terry Maple, esperta di psicologia degli animali in cattività ed ex responsabile dello zoo di Atlanta. “Ma non penso che ci sia stata una vera aggressione nei confronti del bambino” e anzi giudica il comportamento di Harambe come docile e amichevole, simile al comportamento che abitualmente i gorilla maschi mettono in atto quando giocano con la prole. “A dire il vero, quello che ho visto nel video mi sembra assolutamente normale, un normale comportamento da gorilla. A volte quando i maschi “rapiscono” i loro piccoli, li afferrano per le caviglie o per le mani e girano in tondo con loro”.
Eppure, nonostante il comportamento non aggressivo, Maple ritiene sia stata presa la giusta, seppur tragica e sofferta, decisione di abbattere l’animale. “L’opinione pubblica dovrebbe capire che la situazione era complessa e difficile”.

de waal

Frans de Waal (nella foto qui in alto) noto primatologo dell’università di Emory, è della stessa opinione: sebbene Harambe stesse agendo in modo protettivo, i responsabili dello zoo hanno reagito nell’unico modo possibile. “Non c’era tempo di aspettare e stare vedere. Un gorilla è immensamente forte e anche con le migliori intenzioni – e non è detto che quelle di Harambe lo fossero – la morte del bambino sarebbe stata molto probabile”.  Se solo avesse voluto, il gorilla avrebbe potuto uccidere il bambino con una zampata. “Harambe ha mostrato un misto di protezione e confusione. Si è posizionato sopra il bambino, lo ha sollevato, lo ha trascinato nell’acqua (almeno una volta molto bruscamente), si è di nuovo messo sopra di lui. Gran parte delle sue reazioni potrebbero essere state causate dal rumore e dagli strepiti dei visitatori”.

Questi animali sono pacifici vegetariani (salvo qualche spuntino a base di insetti), racconta de Waal al quotidiano El Pais. A un pezzo di carne preferiscono un succoso frutto, a qualunque ora del giorno. Non sono predatori, come tigri e leoni, e non sono interessati a catturare oggetti in movimento, come i gatti. L’unica situazione che li rende aggressivi è l’ingresso di un altro maschio nel proprio territorio, che si avvicini troppo a femmine e cuccioli. Ma Harambe, spiega de Waal che esaminato a lungo i video, aveva capito che il bambino non era un rivale.
Si è discusso molto anche sulla possibilità di usare dei sedativi, cosa che de Waal esclude senza dubbio: avrebbero agito dopo qualche minuto, un tempo in cui Harambe, presumibilmente in agitazione, avrebbe rischiato di ferire gravemente il piccolo. In più il fossato avrebbe esposto il gorilla a un eventuale pericolo di annegamento.

De Waal difende da un lato la decisione del direttore dello zoo che non aveva a disposizione il video che sta girando su Internet: doveva decidere in pochi minuti, e le alternative all’uccisione di Harambe lasciavano adito ad incertezze. L’animale non si lasciava distrarre, tranquillizzarlo non era prudente: spesso, le iniezioni di tranquillante ottengono, in un primo momento, l’effetto opposto. E con la vita di un bambino di mezzo, non si possono fare esperimenti.

Dall’altro però si chiede: cosa sarebbe accaduto se la folla di curiosi sopra alla gabbia fosse stata allontanata, e se gli addetti alla sicurezza e il personale estraneo al gorilla avessero lasciato spazio ai soli veterinari che Harambe conosceva bene? Forse, ritornata la calma, l’animale si sarebbe lasciato avvicinare, e il bambino sarebbe stato messo in sicurezza. Forse la morte di questo raro e amatissimo primate si sarebbe evitata. Per ora sulla vicenda riecheggia il post su Facebook del direttore dello zoo Thane Maynard: “Abbiamo il cuore spezzato per la perdita di Harambe, ma la vita di un bambino era in pericolo e una rapida decisione doveva essere presa”. La pagina dello zoo, nel frattempo, è stata ora chiusa.

La prof.ssa Gisela Kaplan, dal Centro di Neuroscienza e Comportamento Animale dell’università di New England in Australia, ripresa da Jeffrey Masson, ha affermato che il gorilla ha aiutato il bambino, non messo in pericolo, a causa della BLACKFISH_Film_Posterfolla urlante sopra di loro. I gorilla in natura trascinano i loro piccolo via dal pericolo ed è esattamente ciò che ha fatto Harambe. Masson ha ulteriormente specificato la situazione affermando che Harambe non ha ferito in nessun modo il bambino (che infatti è uscito dall’ospedale nel giro di qualche ora), anche se avrebbe facilmente potuto farlo. Ciò fa pensare che Harambe “sapesse” in qualche modo che il bambino era degno di vivere.

Effetto Blackfish

La tragedia di Harambe ha riaperto ancora una volta il dibattito sulla questione degli animali in cattività, infiammato nel 2013 da BlackFish: il documentario di denuncia che per la prima volta condusse gli spettatori nel dietro le quinte degli spettacoli marini, raccontando in particolare la storia dell’orca Tilikum, che a Orlando nel 2010, durante uno spettacolo dal vivo davanti a centinaia di persone, annegò e uccise il suo addestratore.

Serena Porchera

 

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