Studi sul veganesimo: a che punto siamo? Intervista a Francesca Mininni

studi sul veganesimo
La rivoluzione parte del piatto? Per rispondere a questa domanda potrebbero volerci anni di studi, analisi, comparazioni. Lo sa bene Francesca Mininni, studiosa 27enne del milanese, che all’Università degli Studi di Milano Bicocca ha vinto un dottorato in Sociologia applicata e metodologia della ricerca sociale che si intitola proprio così. Una ricerca pioneristica in Italia nel campo degli studi sul veganesimo. Laureata con lode in Sociologia con una tesi sull’antispecisimo, Francesca è vegana da poco più di cinque anni. L’abbiamo incontrata per farci raccontare a che punto sono in Italia gli studi sul mondo vegan. Ecco cosa ci ha detto.

Francesca, cosa significa studiare il veganesimo dal punto di vista sociologico?

Significa indagare i cambiamenti che antispecisti, vegani, animalisti adottano nella vita quotidiana, dalle scelte di consumo critico alle forme di organizzazione sociale. L’obiettivo della mia ricerca è studiare tutte le sfaccettature del comportamento sociale che l’essere antispecista e vegano porta ad adottare come forma di protesta controcorrente e di ristrutturazione dell’ideologia dominante.

Una nuova frontiera per la sociologia?

In Italia sì, questo è un tema ancora poco esplorato. Gli studi in sociologia condotti finora sul veganesimo sono riconducibili a due ambiti principali, quello sui consumi e quello sui movimenti ambientalisti. Ma non si sono mai indagate le dinamiche profonde che stanno dietro a determinate scelte.

Quali sono queste dinamiche?

Innanzitutto, dinamiche di natura etica: il non ascriversi a essere superiori e dominanti su tutto e tutti secondo una visione antropocentrica ma, al contrario, riconoscere e rispettare le diversità e le eventuali debolezze e proteggerle, proprio in funzione di questa presunta superiorità. Di solito, dietro alla scelta vegana ci sono anche motivazioni di natura psicologica molte importanti. Essere esposti continuamente alla violenza come lo siamo noi tende di solito a desensibilizzare, ma può anche far scattare meccanismi di consapevolezza. Succede, ad esempio, quando si verifica un episodio particolarmente scioccante, come andare al circo e assistere allo spettacolo degli animali ingabbiati o vedere un video su quello che accade nei macelli. Poi, ci sono tutta una serie di condizionamenti di natura culturale e familiare. Il fatto di avere un animale in casa, per esempio, influisce moltissimo. È stato così anche per me.

Come è andata?

Mio fratello è vegetariano, per molto tempo ha cercato di convincermi a fare la sua stessa scelta senza riuscirci. Anzi, più me ne parlava, più io mangiavo carne. Poi, un giorno mi ha fatto vedere un video: ho resistito pochi secondi e sono scoppiata a piangere. In quegli animali io ho visto il mio cane, il collegamento è stato immediato. Da allora ho smesso di mangiare carne, senza nemmeno più averne il desiderio. Poi, ho iniziato a documentarmi per evolvere nella mia consapevolezza e da lì è iniziato anche il mio percorso di studi su queste tematiche.

Le statistiche dicono che negli ultimi anni il numero di vegetariani e vegani, anche in Italia, è cresciuto progressivamente. L’attenzione è molto alta. Come mai?

Sicuramente ha influito la diffusione di internet e dei social media che fanno in modo che anche chi ha meno strumenti dal punto di vista culturale sia esposto a tutta una serie di informazioni in grado di far scattare meccanismi di consapevolezza. Poi, ci sono le dinamiche economiche: il marketing ha individuato nicchie di mercato nuove e promettenti sulle quali ha azionato le leve del business spingendo forme di consumo che, in un modo o nell’altro, contribuiscono alla diffusione di determinati stili di vita. Qualcosa davvero sta cambiando.

Dopo il dottorato continuerai a dedicarti alla ricerca su questi temi?

Se potessi, voterei la mia vita allo studio di questi argomenti e ne farei una professione. Purtroppo, però, bisogna fare i conti con la realtà. Sicuramente, studiare e documentarmi faranno sempre parte della mia vita privata e se anche non dovessi farne un lavoro, per me la cosa importante è che si continui a parlare di questi temi e a fare ricerca.

Silvia De Bernardin

 

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