Chef Andoni Luis Aduriz: “Il vegan si è piegato del tutto al capitalismo”

Sul quotidiano El Pais, una riflessione interessante sul tema del ruolo di rottura che l’alimentazione vegana avrebbe dovuto avere sul mercato e che al momento non ha

Spagnolo, 57 anni, Andoni Luis Aduriz è considerato uno degli chef più interessanti e d’avanguardia del panorama internazionale della gastronomia europea e mondiale. Di recente il quotidiano spagnolo “El Pais” ha ospitato un suo articolo sul tema della relazione fra il veganismo, le nuove spinte all’alimentazione etica e il capitalismo.

Nell’articolo lo chef basco ha spiegato la sua posizione partendo da un assunto: negli ultimi anni soprattutto le nuove generazioni si sono rese più attente al tema dell’origine del cibo. Conta non solo dove viene prodotto quello che si mangia ma anche che impatti ha la sua produzione sull’ambiente. Eppure sul mercato, secondo Aduriz, questa crescente consapevolezza dei consumatori si è trasformata solo in una nuova forma di business che non rispecchia in nessun modo l’etica e obiettivi che accompagnano questa nuova domanda. “La cosa sorprendente è che dietro questa dichiarazione carica di buone intenzioni si nasconde un business multimilionario delle buone intenzionicapitalizzato da abili uomini d’affari, imprenditori opportunisti e importanti fondi di venture capital”. Un po’ greenwashing e un po’ la tipica mossa del capitalismo: inglobare la resistenza, tramutandola in offerta.

E qui nasce il ruolo del cibo vegano che nella riflessione di Aduriz è diventato (sul mercato) una pallida imitazione di ciò che vorrebbe combattere: “È deplorevole – scrive lo chef – che invece di sfruttare questa opportunità per promuovere varietà vegetali e preservare il maggior numero possibile di semi di antiche cultivar, la cultura del “no food” (quella vegana, ndr) si stia diffondendo sotto forma di hamburger, nuggets , panini, pizze, caramelle, formaggi, gelati, creme spalmabili e dessert”. Insomma, il cibo industriale vegano, anche a livello ristorativo, avrebbe dovuto porsi in concorrenza esplicita e culturale con il cibo “onnivoro” mostrandone le lacune e le problematiche, senza imitarlo. 

Il ragionamento di Aduriz è lineare: poche realtà “sono veramente impegnate nell’etica che sostengonoAltrimenti, tutte quelle aziende che sviluppano prodotti veggy non li distribuirebbero nei supermercati, nei negozi e sui siti web che, a loro volta, offrono alimenti e materie prime di origine animale, scontrandosi così con le rigide regole promosse dall’etica del buon trattamento degli animali”. Secondo Aduriz bisognerebbe quindi puntare alla nicchia, creando un nuovo mercato e poi nuovi consumatori. Al contrario, la cultura vegana attuale, a suo avviso, sta inseguendo gli stessi acquirenti travestendosi da prodotto per tutti.

La cultura vegana si sarebbe quindi piegata al capitalismo lasciando indietro lo scopo con il quale era nata: mostrare un’alternativa alimentare, sociale, economica e politica ad un modello che sfrutta e distrugge non solo gli animali ma anche l’ambiente, l’attenzione al metodo produttivo, appiattendo il tutto con lo scopo di inseguire i consumi, facilitarli, renderli meno “faticosi” e più “mainstream”.

La conclusione dello chef è piuttosto dura: “Ancora una volta, la battaglia per un mondo diverso e più giusto viene persa dalla cultura, a favore dell’avidità degli interessi economici, attraverso la via della convenienza”.

 

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