Green, il film: la follia dell’olio di palma

Non ci sono parole in questo documentario di Patrick Rouxel, solo immagini e suoni: le scene spaventose della distruzione della foresta pluviale indonesiana ed i lamenti degli oranghi, agonizzanti a terra per la mancanza di cibo e riparo, caricati in sacchi di stoffa e trasportati in piccole strutture dove qualcuno tenta di salvarli. Si abbattono gli alberi, si brucia il terreno, si distruggono gli animali per creare coltivazioni intensive di palme da olio.

Il documentario prende il nome da Green, orango femmina le cui immagini di degenza in un lettino, attaccata ad una flebo, accompagnano lo spettatore di questa sorta di preghiera laica che scuote le nostre convinzioni sui consumi e sulle nostre responsabilità. La catena delle conseguenze è molto lunga, è vero: fra la morte di decine di migliaia di oranghi, il rischio di estinzione degli elefanti, la scomparsa delle tigri, la distruzione della bio diversità ed il nostro carrello della spesa, passano migliaia di chilometri, centinaia di lavoratori, mille trasformazioni e tante pubblicità. Ma il collegamento c’è e Rouxel ce lo butta in faccia, senza mezze misure e solo con la forza delle immagini e di un montaggio che fa quello che dovrebbe davvero fare: raccontare una storia.

L’olio di palma è il primo olio vegetale per tonnellate prodotte nel mondo, secondo solo a quello di soia. E’ presente nei dolci, nelle merendine confezionate, nei cosmetici e in quello che viene definito bio diesel ma che di bio non ha proprio niente, tanto che anche la United States Environmental Protection Agency (EPA) lo ha tolto dalla lista dei combustibili che possono essere definiti ecologici. Anche l’industria della carta e del legno hanno il loro ruolo in questo documentario, perché è dalla cellulosa degli alberi abbattuti che si ottiene la nostra carta per le stampanti, per i giornali, per i cartelloni pubblicitari, per le confezioni dei prodotti che compriamo ed è sempre da quegli alberi che si ottengono alcuni dei più pregiati parquet delle nostre case (come quello di teak, per esempio).

L’Indonesia è lontana, ma non troppo. “Green” ha come merito, non solo quello di essere un bel documentario, ma anche di mettere in chiaro una delle accezioni più terribili del termine “globalizzazione”: quello che sta accadendo in quella parte di mondo (e non solo) ci riguarda molto da vicino, perché, come scrive lo stesso Rouxel nei titoli di coda del documentario “per la distruzione della foresta pluviale si ringraziano i consumatori di tutto il mondo”, i consumatori non consapevoli, aggiungiamo noi. E’ possibile vedere il documentario direttamente anche qui (dura 48 minuti)

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