Meat sounding: nuovo tentativo di frenare le alternative alla carne
Prima che sia impossibile chiamare “burger” o “cotoletta” un prodotto vegan, anche Commissione e Consiglio dovranno dare il via libera

Con 355 voti favorevoli e 247 contrari, il Parlamento europeo ha approvato un emendamento che vieterebbe l’uso di termini come burger, bistecca o salsiccia per descrivere alimenti di origine vegetale. Tutto questo per porre fine al cosiddetto meat sounding ossia l’uso di denominazioni tipiche della carne per rendere più familiari ai consumatori i prodotti (anche vegani) a base di soia, legumi o cereali. Se anche Commissione e Consiglio daranno il via libera, la norma entrerà in vigore nel 2028, aprendo una nuova fase per il mercato plant-based europeo.
L’obiettivo dichiarato è duplice: proteggere le filiere zootecniche e garantire trasparenza al consumatore, evitando che un alimento vegetale venga confuso con uno animale. Secondo i promotori, serve “chiarezza linguistica” e una maggiore coerenza semantica, così come già accade per latte e formaggi, denominazioni da tempo riservate ai prodotti di origine animale.
Ma la decisione ha diviso l’opinione pubblica e il settore alimentare. Le aziende che producono alternative vegetali denunciano un provvedimento punitivo, che ostacola la riconoscibilità dei prodotti e impone costi elevati per cambiare confezioni e strategie di marketing. Sostengono inoltre che i consumatori non si lasciano ingannare da un nome: sanno perfettamente che un veggie burger non contiene carne, e che quella parola serve solo a comunicare la funzione gastronomica del prodotto. “E’ una decisione infondata e anacronistica, e che ricorda da vicino la legge ideologica voluta in Italia dal Ministro Lollobrigida, che vieta le denominazioni “meat-sounding” ma che, sebbene in vigore, è rimasta inapplicata proprio per l’assenza di un corrispettivo quadro normativo europeo: lacuna che, purtroppo, questo voto contribuisce ora a colmare nel senso più restrittivo possibile” ha detto Domiziana Illengo di LAV.
“Sebbene questo risultato sia deludente – spiega l’associazione Essere Animali – la proposta è ancora lontana dall’essere approvata come legge. Con la coalizione di associazioni continueremo a fare pressione nei prossimi negoziati del trilogo e invitare il Consiglio e la Commissione a non accettare queste restrizioni inutili. Spetterà ora ai governi degli Stati membri e alla Commissione europea negoziare il testo finale nell’ambito della procedura di codecisione e decidere se la posizione del Parlamento diventerà legge. I negoziati sul dossier dovrebbero iniziare nelle prossime settimane e concludersi entro la fine dell’anno”.
Non è la prima volta che l’Unione Europea si confronta con il tema. Già nel 2020 era stata proposta una misura simile, poi bocciata, e nel 2024 la Corte di Giustizia aveva stabilito che termini “carnei” per prodotti vegetali non sono ingannevoli se l’etichetta è chiara. La nuova norma, più restrittiva, sembra però voler chiudere definitivamente la questione.
Per l’industria plant-based, che in Italia vale circa 700 milioni di euro e cresce ogni anno, la sfida ora è linguistica oltre che commerciale. Bisognerà inventare nuovi nomi, nuove parole capaci di evocare sapori, forme e usi senza attingere al vocabolario della carne. Potrebbe essere l’occasione per costruire un’identità autonoma, svincolata dal confronto con il modello “tradizionale”. Ma il rischio è che, nel tentativo di tutelare il linguaggio, si finisca per confondere proprio chi, con consapevolezza, sceglie un’alternativa vegetale.
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