La più grande causa di spreco alimentare? L’allevamento intensivo

l nuovo report di Compassion in World Farming rivela che potrebbero essere sfamate due miliardi di persone in più ogni anno se i governi dessero la priorità al cibo invece che al mangime.

La zootecnia industriale, che si basa sull’allevamento di grandi quantità di animali in spazi ristretti, viene comunemente presentata come un modello efficiente nell’uso delle risorse. Tuttavia, un recente report realizzato dall’associazione Compassion in World Farming smaschera questa narrazione, definendola un “inganno”. Per produrre il mangime necessario a nutrire suini e polli allevati intensivamente è richiesta una superficie di terra drasticamente maggiore dato che a non essere conteggiata è la terra necessaria per coltivare il grano e la soia per questi animali mangiano e che è letteralmente 99 volte più ampia della superficie  occupata dall’allevamento stesso. Questa vasta richiesta di suolo è legata in larga parte dai cereali, il cui uso nell’alimentazione degli animali allevati intensivamente è di gran lunga superiore a quello della soia.

L’alchimia al contrario: trasformare nutrienti in scarti

Oltre all’enorme impiego di terra, si verifica un secondo e più profondo livello di inefficienza nell’uso delle risorse. Gli animali infatti convertono i cereali (come grano, mais e orzo), che sono adatti al consumo umano, in carne e latte in modo estremamente inefficiente (su Vegolosi.it nel 2013 iniziammo ad usare l’espressione “macchine metaboliche inefficienti” per riferirci agli animali d0allevamento nella prospettiva contemporanea).
Gli studi dimostrano che

  • per ogni 100 calorie di cereali somministrati agli animali, nella catena alimentare umana ritornano solo tra le 3 e le 25 calorie sotto forma di carne
  • per ogni 100 grammi di proteine contenute nei cereali, solamente 5-40 grammi arrivano all’uomo tramite la carne.

Questo processo nel report è paragonato a un’”alchimia al contrario,” in cui cereali nutrienti vengono essenzialmente trasformati in rifiuti su vasta scala.

Lo spreco nascosto

Se è vero che uno dei temi che emergono costantemente nelle analisi legate alle strategie per combattere la crisi climatica è la battaglia contro lo spreco alimentare (si veda anche il recente report aggiornato di The Lancet del quale abbiamo parlato qui), ecco che proprio l’allevamento intensivo mostra un problema significativo.
A causa di questi tassi di conversione estremamente scarsi, il concetto tradizionale di spreco alimentare (quello derivante da famiglie, vendita al dettaglio o ristorazione) deve essere ampliato per includere quello derivante dall’utilizzo di colture adatte al consumo umano come mangime.

Il report evidenzia che, in molti Paesi, l’allevamento intensivo genera uno spreco di cibo di gran lunga superiore allo spreco convenzionale. A livello globale, ogni anno vengono sprecati 766 milioni di tonnellate di cereali per nutrire suini, polli e bovini, a causa dell’inefficienza del processo di conversione. Questa cifra è notevolmente superiore a qualsiasi altra forma di spreco alimentare globale registrata nel 2022, incluse le 631 milioni di tonnellate sprecate dalle sole famiglie. Ad esempio, nell’Unione Europea, lo spreco di cereali dovuto all’inefficienza della conversione ammonta a 124 milioni di tonnellate, contro 59 milioni di tonnellate di cibo buttato via in senso convenzionale.

Il 99% della terra utilizzata per l’allevamento intensivo di suini e polli è destinato alla coltivazione dei mangimi: lo spazio concesso agli animali negli allevamenti rappresenta solo l’1% del suolo utilizzato.

Ben 2 miliardi di persone in più mangerebbero, senza allevamenti

Nutrire gli animali con cereali non è solo uno spreco delle colture stesse, ma anche della terra, dell’acqua e dell’energia utilizzate per coltivarle. Contrariamente a quanto a volte sostenuto – spiega il report –  la scarsa efficienza del processo di conversione dimostra che l’allevamento intensivo non rafforza la sicurezza alimentare, ma al contrario, la compromette. I calcoli indicano che, smettendo di utilizzare i cereali come mangime per gli animali, si potrebbero sfamare due miliardi di persone in più all’anno.

Un cambiamento in questa direzione libererebbe immense estensioni di terreno coltivabile. Se si interrompesse l’uso di cereali e soia come mangime, si potrebbero liberare circa 175 milioni di ettari di terra coltivabile a livello globale, una superficie vasta quasi quanto l’Indonesia. Questa terra, invece di sostenere la produzione di mangimi, potrebbe essere utilizzata per coltivare frutta, verdura, tuberi, noci, semi e legumi come piselli e fagioli, tutti alimenti fondamentali per una dieta nutriente e varia.

Transizione alle scelte vegetali

L’enorme richiesta di cereali da parte della zootecnia industriale è un fattore chiave nell’intensificazione della produzione agricola, che porta al degrado del suolo, alla perdita di biodiversità e all’inquinamento di acqua e aria a causa dell’uso di monocolture, pesticidi e fertilizzanti. Per quanto riguarda le emissioni di gas serra (GHG) degli allevamenti di suini e polli, è proprio la produzione di mangimi e il conseguente cambiamento di destinazione d’uso del suolo a essere la causa principale.

L’allevamento apporta un contributo efficiente alla sicurezza alimentare solo quando gli animali consumano materiali che l’uomo non può utilizzare, come pascoli, sottoprodotti della produzione o scarti alimentari inevitabili. L’abbandono della zootecnia industriale dipendente dai cereali e dalla soia comporterebbe una riduzione approssimativa del 50% della produzione e del consumo globali di alimenti di origine animale. Una diminuzione del consumo di prodotti animali è considerata essenziale per raggiungere gli Obiettivi climatici di Parigi. “Per guidare questo cambiamento verso sistemi alimentari sostenibili, i governi dovrebbero adottare”- spiega l’associazione –  “politiche per ridurre l’uso di cereali e soia come mangime, dare priorità alle coltivazioni per l’alimentazione umana, e incentivare l’adozione di diete flexitariane ricche di vegetali”.

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