Spagna, donna uccide un gatto in lavatrice: la legge non la punirà

Una donna getta un gatto nella lavatrice, filma il tutto con il cellulare e posta il video su Instagram: il web si indigna, ma la colpevole rischia di rimanere impunita

gatto in lavatrice

Sorprende un gatto nero randagio ad accoppiarsi con la propria gatta, per punirlo lo getta nella lavatrice e lo uccide, azionando il tasto del lavaggio per ben due volte. Questa storia aberrante arriva dalla Spagna, dove una 23 enne ha commesso a sangue freddo questo atto orribile filmandolo con il cellulare e postando subito dopo il video sulla sua pagina Instagram da dove è stato rimosso a seguito di numerose segnalazioni da parte degli utenti.  Il post, bisogna sottolinearlo, è stato accompagnato da emoji sorridenti e frasi simpatiche, come se quello compiuto fosse uno scherzo divertente invece che uno spettacolo raccapricciante.

Tempestivo è stato l’intervento dell’associazione animalista locale PACMA: dopo aver raccolto con una petizione oltre 345 mila firme, ha annunciato che denuncerà il caso alle autorità competenti richiedendo “una condanna detentiva esemplare” per la ragazza così come per il fratello, anch’egli colpevole di un grave caso di maltrattamento; quest’ultimo avrebbe infatti registrato un video – caricato poi su YouTube – nel quale lo si vede aizzare i propri cani da caccia contro un gatto nero poi rimasto ucciso. “Queste persone devono essere assicurate alla giustizia – si legge nella petizione – e nel loro caso non basta una semplice pena pecuniaria, ma devono pagare per quello che hanno fatto”.

La condanna non è adeguata

La legge spagnola, però, in caso di maltrattamento animale prevede una condanna massima di un anno e mezzo di reclusione che spesso viene annullata se si tratta del primo reato come spiega l’avvocato Alessandro Ricciuti, esperto in diritti degli animali: è molto probabile, dunque, che il gesto della donna e del fratello rimangano impuniti. Eppure, come ricorderete, pochi mesi fa il Parlamento di Madrid fece un enorme passo avanti sul fronte della tutela dei diritti animali, decidendo all’unanimità che questi non debbano più essere classificati come “cose”, bensì come esseri senzienti dotati di una sfera emotiva e cognitiva complessa.

Prima di questa svolta legislativa, invece, gli animali erano considerati un “bene mobile” che poteva essere trasportato o caricato come un qualsiasi bagaglio a mano, senza alcuna tutela, neanche in caso di dissoluzione del nucleo famigliare a causa di un divorzio o di un lutto. Ma il fatto che gli animali non siano più “oggetti” a quanto pare non basta perché gli autori di gesti così tremendi paghino per la loro follia: siamo di fronte alla mancanza di una pena certa.

Allo stesso modo anche le tradizioni, sul territorio iberico, non sembrano andare di pari passo con la modifica di questa legge: in Spagna, per esempio, continua a essere praticata la corrida, una delle usanze più cruente e osteggiate dallo stesso popolo spagnolo. Molti gli atti di protesta eclatanti come dimostra la vicenda di un’attivista che scese direttamente nell’arena per abbracciare il toro durante uno spettacolo in corso.  Attorno a questa “tradizione” però gira un capitale economico gigantesco. Allo stesso modo, nel paese sopravvive anche una folle manifestazione nota come “toro embolado”, durante la quale vengono legate delle torce infuocate alle corna di un toro, lasciato libero per le strade in una zona controllata.

A questo si aggiunge il fatto che, nella legge ispanica, esiste un cono d’ombra culturale che considera i cani levrieri come animali da lavoro: cresciuti in allevamenti-lager, questi animali, vengono poi fruttati fino allo stremo come cani da caccia alla lepre e, una volta non più produttivi (all’età media di circa 5 anni) vengono uccisi con colpi di pistola  impiccati.

Tradizioni e usanze che, una volta di più, mettono da parte il buon senso e che non paiono destinate a morire con la sola modifica di una legge: il tutto, ovviamente, a scapito della tutela e del benessere di migliaia di animali ogni anno.

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