Vegolosi

L’inganno è il latte di soia? No, l’inganno siete voi

Ho aperto subito gli armadi della dispensa della nostra cucina di redazione: volevo vedere quante e quali fossero le confezioni di bevanda alla soia, riso, avena e compagnia a seguire che riportassero la dicitura “latte”. Su quattro marche diverse nemmeno una. Nemmeno il “burro” di soia di 2 marche diverse lo riporta; stessa cosa per gli yogurt (anche qui tre marche diverse nel nostro frigorifero). Bene, allora che cosa davvero significa la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea?

E’ un messaggio chiaro alla consapevolezza dei consumatori. Spieghiamo una cosa: questa sentenza, come ci ha anche raccontato l’avvocato Prisco, non è frutto di pressioni politiche, ma è solo l’interpretazione e la messa in chiaro di indicazioni di legge già presenti. Questo non significa, ovvio, che le associazioni di categoria non stiano facendo, da tempo, quadrato per difendere la loro produzione: Coldiretti e Assocarni organizzano manifestazioni pro-carne, corsi con nutrizionisti che raccontano che la carne fa benissimo, il latte viene difeso sul dizionario in tribunale.

Ma la cosa che mi ha colpito di più è la parola “inganno” utilizzata sia da Coldiretti che da SlowFood: “I prodotti vegetariani e vegani – si legge nella nota stampa diramata prontamente dai primi – non possono essere chiamati con nomi di alimenti di origine animale, in particolare latticini, ponendo fine ad un inganno che riguarda il 7,6% di italiani che segue questo tipo di dieta”. Insomma i vegani e i vegetariani sarebbero stati i primi ad aver patito questa mistificazione. Peccato che praticamente su nessun confezione ci sia riportata la parola” latte” e che, se vogliamo davvero a stare a guardare, quello che indica al consumatore l’alternativa vegetale (vegetariano, onnivoro o vegano che sia)  è solo la forma della confezione: fate mente locale: avete mai davvero letto come si chiama la bevanda all’avena che comprate, o lo yogurt alla soia?

Veniamo ora ai veri inganni che, in parte sono anche stati sanzionati (ricordate la sospensione della campagna pubblicitaria “L’ora del latte?”). Il principale è quello legato all’informazione su come avviene la produzione di quella bevanda di origine animale. Non è stato forse, e non è tutt’ora un inganno, quello di far credere attraverso abili spot dagli anni ’50 ad oggi, che le mucche producono latte così, indipendentemente dal loro stato interessante, che siano, in pratica dei distributori di bevande? Io ricordo molto bene la mia idea sull’origine del latte 10 anni fa: non me lo domandavo proprio da dove arrivasse, forse, al più, durante le elementari qualche disegno sui libri o le schede da colorare mi aveva raccontato che “La mucca fa il latte” e tanto mi bastava.

Ma di certo, nel nome della corretta informazione posta a vessillo delle associazioni di categoria, nessuna comunicazione, né spot, racconta che dietro l’industria del latte intensiva c’è una mucca che viene ingravidata artificialmente, magari somministrandole ormoni tratti dal sangue di giumente a loro volta gravide, che il vitello viene allontanato dalla madre, nutrito artificialmente o con il colostro per qualche giorno e poi avviato all’industria della macellazione, se maschio e a quella del latte se femmina. Non si racconta dei decoratori elettrici, delle punture nelle mammelle per far sgorgare meglio la bevanda, degli anelli spinosi messi al naso dei vitelli perché non bevano il latte dalle madri, dello sfruttamento fino alla morte di animali che in natura vivrebbero circa 20 anni ma che arrivano, nelle stalle intensive a spegnersi intorno ai 5.

Allora qual è il vero inganno al consumatore? Siamo certi che chi compra latte e carne conosca i retroscena di questa produzione meglio, del fatto che il latte di soia o di riso non sono latte di mucca? Chi sta ingannando chi? E se è vero che nell’industria del latte e delle carne, che sono (nel modello intensivo e predominante) la stessa cosa, non c’è nulla da nascondere, perché non si raccontano le cose come stanno? Perché alcune immagini trasmesse dalla tv pubblica che racconta gli allevamenti, parlano di “benessere dei vitelli” mentre si vede il povero animale in una gabbia, da sola, mentre ciuccia latte artificiale da un secchio con una tettarella di gomma?

Chi ha scelto e sta scegliendo le bevande vegetali, sa molto bene perché lo fa, chi sceglie il latte, forse, un po’ meno. Detto questo, indipendentemente dal nome continueremo a chiamare quello che mangiamo con il nome che più ci è comodo e continueremo ad informare e informarci sulla follia di queste produzioni che, come conferma da anni la Academy Of Nutrition and Dietetics, si può tranquillamente evitare, senza nessun danno per la nostra salute.