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Latte vaccino: la verità riguardo ai tre miti più comuni

Tutti noi siamo cresciuti con l’idea della “necessità” di bere latte vaccino per la salute di denti e ossa, per il suo alto contenuto proteico, perché semplicemente “fa bene all’organismo”. Di questo sono complici sicuramente le tradizioni culinarie ma anche una buona dose di pubblicità in tv e sui giornali. Pensiamo, per esempio, alla campagna “Ora del latte”, promossa dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali che lo scorso maggio è stata riconosciuta come ingannevole dall’AIAP su sollecitazione della LAV. Il motivo? Il latte vaccino veniva presentato come “indispensabile” per la salute umana.

Sono tanti i falsi miti che gravitano attorno alla questione del bere o meno latte di mucca e altrettanti sono i manuali che cercano di fare chiarezza su questo argomento così controverso. Uno di questi è “Il libro nero del latte – I 10 falsi miti che ci fanno bere” di Élise Desaulniers, studiosa indipendente e attivista per i diritti degli animali.

Il latte è naturale ?

Noi tutti pensiamo che il latte vaccino sia “naturale”, spesso intendendo due cose: che tutti lo bevono e che siamo fatti per bere il latte, sottintendendo che non farlo possa nuocere alla nostra salute. Ma ciò che è naturale per i neonati umani – scrive la Desaulniers – come per tutti gli altri cuccioli di mammiferi, è bere il latte della propria madre fino allo svezzamento. Una volta svezzati, gli esseri umani – come tutti i mammiferi – non sono più in grado di digerirlo. Non è un caso, quindi, che dopo aver bevuto latte vaccino si manifestino spesso negli adulti crampi intestinali e/o gastrici: si tratta semplicemente della risposta del nostro organismo a qualcosa che non è in grado di sintetizzare. Certo, molte persone bevono latte abitualmente senza alcun problema. L’autrice ci spiega che si tratta di persone portatrici di una mutazione genetica nota come “persistenza di lattasi”: nei primi anni di vita questo enzima si occupa della digestione dello zucchero del latte, il lattosio: questo enzima di norma smette di lavorare dopo i primissimi anni di vita, cosa che ci procura problemi digestivi quando assumiamo latte da adulti. In alcune persone, però, la lattasi rimane attiva anche in età adulta e consente loro di continuare a bere latte di origine animale senza difficoltà.

Le nostre percezioni, inoltre, giocano un ruolo fondamentale: perché, per esempio, beviamo latte di mucca, ma ci ripugna solo l’idea di bere latte di cane? Alla base di questo troviamo uno sfondo socio-culturale ben definito: percezioni e culture diverse, nient’altro. 

Un bicchiere di latte per ossa sane e forti?

L’essere umano è l’unico mammifero che consuma latte (di un’altra specie, per giunta) dopo lo svezzamento. Non è un po’ strano – sostiene nel libro l’autrice – che un essere umano adulto, svezzato, debba bere il latte di un altro animale per avere le ossa forti ed essere sano? Sarebbe un’eccezione in natura“. Lo scimpanzé, per esempio, con il quale condividiamo il 99% del codice genetico, non beve una sola goccia di latte dopo lo svezzamento ma di certo non soffre di osteoporosi.

Non è necessario consumare latte vaccino per avere ossa sane, dunque, ma di certo lo è assumere le giuste quantità di calcio. Molti alimenti vegetali contengono calcio e, per di più, a una maggiore biodisponibilità rispetto a quello contenuto nel latte: ciò significa che – a pari quantità – il calcio di origine vegetale viene assorbito dal nostro organismo meglio e in maggiori quantità di quello di origine animale. L’autrice ci spiega inoltre che non dobbiamo preoccuparci di sostituire il latte vaccino con un analogo vegetale dal punto di vista nutrizionale: “Se non è essenziale per una buona salute, i suoi sostituti non lo sarebbero a loro volta. Il latte non contiene elementi nutritivi che non si trovano altrove; le sue vitamine e i suoi minerali sono presenti anche in molti vegetali”. Detto questo, al posto del latte, per una buona colazione o una merenda, le alternative sono davvero moltissime.

 La mucca è fatta per produrre latte?

“Le vacche da latte trascorrono l’intera esistenza a partorire. […] Tendiamo a dimenticare che le vacche non producono naturalmente latte tutto l’anno. Come le donne, lo fanno solo dopo aver partorito. Solo che, non appena partorito, le inseminiamo per ingravidarle di nuovo. Le vacche non sono state ‘progettate’ per produrre latte in questo modo. Non forniscono latte perché sono felici, lo fanno perché le costringiamo e perché sono state selezionate geneticamente in base alla capacità di produrne” ci spiega l’autrice. Inoltre, la realtà è ben lontana dalle immagini di pascoli verdi a perdita d’occhio, mandrie pacifiche, erba da brucare a volontà che la pubblicità ci fornisce riguardo alla produzione di latte e derivati. Secondo quanto riportato da CWIF Italia, un animale su due viene oggi allevato in allevamenti intensivi, la principale causa di maltrattamenti sugli animali nel mondo. “Mentre una vacca produce in natura 7 kg di latte al giorno, nelle condizioni attuali ne produce 27. Questo incremento della produttività comporta un enorme sforzo fisico per gli animali”. Ecco il motivo per cui le mucche non vengono più lasciate libere nei pascoli: brucare un po’ di erba non sarebbe sufficiente per le esigenze energetiche dell’animale. La sua alimentazione strettamente erbivora è quindi stata sostituita da “un mix specifico di mangime e cereali fortificati con vitamine e minerali, […] che risulta talmente povero di fibre da comportare problemi digestivi“. In Italia “si trovano ancora allevamenti in cui le mucche sono tenute “alla posta” (cioè in uno spazio molto piccoli che ne limiti i movimenti, ndr) soprattutto nelle regioni di montagna”.

Il libro nero del latte – I 10 falsi miti che ci fanno bere
Élise Desaulniers
Edizioni Sonda
16,00 euro
167 pagine

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