Vegolosi

Le cose terribili che accadono ai pesci d’allevamento: la nuova inchiesta – VIDEO

Sono stati due gli anni di indagine che hanno portato il team investigativo di Essere Animali, a scoprire i retroscena dell’industria del pesce d’allevamento che finisce nella maggior parte dei supermercati e mercati nel nostro paese. Sono orate, branzini e trote le specie più richieste per finire in padella o al forno, sono loro a vivere in condizioni che definire incredibili è davvero troppo poco.

Se già la situazione di bovini, maiali, galline e tacchini negli allevamenti passano spesso sotto silenzio nei filtri delle percezione di chi li consuma abitualmente, quello che succede ai pesci è ancora più ignorato. Anzi, da quando nel 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità spiegò che carne rossa e carne lavorata entravano a far parte dei cibi, rispettivamente, probabilmente cancerogeni e certamente cancerogeni per l’uomo, il consumo di pesce è aumentato di molto.
Nel 2018 gli italiani hanno consumato in media 25 chili di pesce in un anno a testa, contro i 19 del 2010 e i 9 chili del 1970.

Come se i pesci non fossero del tutto assimilabili alla categoria “animali”, sono diventati una sorta di “alternativa” alla carne rossa e bianca. Peccato che le condizioni in cui vengono allevati e poi uccisi per finire su un mercato che ne chiede sempre di più, sono terribili. La parola che definisce al meglio la situazione è “agonia”.

I pesci vengono riversati in grandi quantità in grandi vasche poi riempite di ghiaccio e poca acqua. Foto di Essere Animali

Che cosa è un allevamento di pesci

Viene definita “acquacoltura” che, tradotto, significa vasche su terra ferma o recinti in mare che possono contenere fino a 300.000 pesci. Le vasche sono grandi cassoni in cemento pieni d’acqua in cui girano in tondo senza sosta (se sono fortunati) centinaia di pesci sottoposti a continua luce diurna in modo da accelerarne, come avviene anche per i polli e le galline ovaiole, il ritmo di crescita, riproduzione e produzione. Gli animali, che raggiungono il peso minimo richiesto dal marcato in circa 18 mesi, vengono poi prelevati.

Qui le metodologie sono varie: vengono sparati ad alta velocità da alcuni tubi per finire nei cassoni di trasporto, oppure vengono pescati da alcune reti e poi messi in vasche piene di ghiaccio e acqua che, una volta chiuse, vengono poi trasportate presso le industrie che li devono lavorare. Dopo ore, i pesci agonizzanti a causa del poco ossigeno presente nelle vasche, vengono punzonati e legati ancora vivi. Ad altri va anche peggio: vengono uccisi semplicemente sbattendogli la testa con un colpo secco contro i bordi dei pianali in alluminio sui quali vengono confezionati oppure con una bastonata.

Le femmine di trota, sedate, vengono poi letteralmente “spremute” per ottenere le uova che varranno poi inseminate artificialmente. Foto di Essere Animali

Ma i pesci soffrono?

Sappiamo benissimo che quando si sceglie di alimentarsi in modo vegano o vegetariano una delle domande più classiche all’affermazione “Non mangio carne” è “Ma quindi nemmeno il pesce?”; succede anche che nelle insalate vegetariane di alcuni ristoranti fra gli ingredienti si trovi tranquillamente il tonno. La sensazione quindi è che, da sempre, il pesce venga considerato alla stregua di una pianta di lattuga eppure molti etologi hanno spiegato che la situazione è ben diversa. Per esempio Jonathan Balcombe, biologo e autore di “What a fish knows”, spiega in riferimento alle immagini dell’inchiesta realizzata in Italia che “animali coscienti e senzienti non dovrebbero mai essere trattati come fossero pezzi di legno. Il modo in cui vengono manipolati i pesci e il comportamento dei lavoratori mostrano completo disinteresse per le prove scientifiche che raccontano quanto i teleostei (pesci con spina) siano capaci di provare dolore, stress e angoscia – in breve che possano soffrire”. 

Alcuni dati che mettono a confronto i numeri degli allevamenti di pesci, la pesca e quelli dell'”altra” carne.

La petizione

Come sempre ad accompagnare l’inchiesta di Essere Animali, c’è anche una petizione: “Chiediamo alla Grande Distribuzione Organizzata – si legge – di impegnarsi concretamente per risolvere queste problematiche, confermate come tali anche da Efsa, Oie e Unione Europea. Anche se silenziosa, la sofferenza di milioni di pesci non può rimanere inascoltata ed è urgente attivarsi subito, vincolando gli allevamenti fornitori all’adozione di policy che pongano fine all’agonia dei pesci”. Un primo passo, quindi: cercare di eliminare pratiche brutali e fare in modo che chi crea la domanda ponga paletti severi sulle condizioni in cui vengono allevati questi animali. E’ chiaro che una soluzione immediata è quella, però, in mano agli stessi consumatori: passare ad un’alimentazione a base vegetale al 100% è facile e sicuro (potete iniziare da questo piano, per 28 giorni una ricetta al giorno, oppure cercare tante ricette facili e veloci nel nostro mini sito dedicato).