Vegolosi

“Ho lavorato nell’incubatoio per polli da infiltrata, ecco che cosa ho visto”

Bisogna farlo, si fa. Ambra, attivista di Essere Animali ha deciso di raccontarci che cosa ha visto e vissuto durante i mesi nei quali è stata operaia infiltrata all’interno di un incubatoio per polli da carne. Il suo lavoro era maneggiare le migliaia di pulcini che passavano sul nastro trasportatore: vaccinarli oppure scartarli, oppure ancora gettarli via. Un’esperienza che è finita, grazie alle immagini girate di nascosto, su tanti giornali e media nazionali. Ecco la sua storia.

Tu, attivista vegana, hai lavorato per mesi in un incubatoio per polli: come ti senti?

Il lavoro è stato molto stancante fisicamente e psicologicamente, ma mi sento bene perché credo nel potere dell’informazione come strumento contro lo sfruttamento degli animali, e nel forte impatto del nostro lavoro. Sono soddisfatta dell’indagine e ho fiducia che questa serva a creare maggiore consapevolezza di ciò che mangiamo.

Hai avuto paura di essere scoperta mentre giravi le immagini? Ci sono stati momenti di tensione?

Si, a volte ho avuto timore che il progetto non andasse a buon fine e di non raggiungere i risultati pianificati, così come non sono mancati i momenti di tensione all’interno dell’incubatoio. D’altro canto, ero consapevole dei rischi che correvo ma soprattutto dell’importanza di portare a termine questa inchiesta: questo ha prevalso sulla paura e mi ha permesso di superare i momenti più difficili e rischiosi.

Ci sono stati requisiti particolari che ti hanno richiesto per poter lavorare nell’incubatoio?

I requisiti particolari che mi sono stati richiesti per lavorare non sono stati molti. Il primo è stato quello di accettare consapevolmente di compiere un lavoro fisicamente e psicologicamente stancante, estremamente ripetitivo e in condizioni che non mi avrebbero messa a mio agio, ovvero un ambiente rumoroso, caldo e con odori davvero difficili da sopportare. Il secondo requisito che mi è stato espressamente richiesto è stato quello di dimostrare la mia totale assenza di sensibilità rispetto al tema della violenza animale e del sistema di allevamento intensivo, al qual proposito sono stata preparata alla vista di scene cruente e alla presenza di violenza e sangue, oltre alla premessa di dover compiere con le mie mani un lavoro violento verso il quale avrei dovuto essere indifferente.

“Dovevo dimostrare di essere insensibile alla questione animale, questo era il requisito per essere assunta lì”

Che cosa hai potuto capire delle persone che lavorano lì? Chi sono?

È stata un’esperienza molto particolare conoscere i miei colleghi. Sono persone che non amano il loro lavoro e che si trovano a far parte di un sistema troppo grande che purtroppo non consente loro di agire secondo la propria coscienza di esseri umani. Da loro ho capito che sicuramente se potessero trovare un altro lavoro altrettanto sicuro smetterebbero di fare ciò che fanno. Gli operatori possono essere persone di cuore e solidali, rassegnate e infelici, costrette ad accettare con indifferenza la brutalità del lavoro per varie circostanze legate alle proprie vite.

Sei dell’idea che chi lavora in queste situazioni sia portato ad essere privo di empatia?

Non penso che gli operatori che ho conosciuto siano privi di empatia. Sono convinta che le necessità della vita e le condizioni di lavoro a volte ti costringano a metterla da parte. I lavoratori sono sottoposti alla ripetitività di una violenza continuata, e al lavaggio del cervello da parte dei propri datori di lavoro. I pulcini sono privati di qualsiasi tipo di valore, al punto da essere schiacciati con indifferenza o lanciati brutalmente anche solo per richiamare l’attenzione di un altro collega. Penso che la mancanza di empatia e l’indifferenza verso tutte quelle vite fosse legata all’ambiente completamente alienante, e alla necessità di avere un distacco che permettesse loro di ridere e scherzare durante un lavoro talmente cruento.

“Chi lavora lì è spesso rassegnato e infelice, cambierebbe lavoro, se potesse”

A che cosa pensavi mentre, anche tu, hai finto di far parte di quella catena lavorativa, mentre maneggiavi i pulcini?

La cosa più importante per me è stata rimanere sempre concentrata nel filmare nel miglior modo quello che vedevano i miei occhi. Mentre maneggiavo i pulcini cercavo con tutta me stessa di non pensare a che cosa stessi facendo e al loro dolore, cercavo di distaccarmi per essere in grado di comportarmi il più possibile come gli altri operatori. Il lavoro era talmente ripetitivo che dopo ore durante le quali continui a compiere gli stessi movimenti e maneggiare i pulcini nello stesso modo smetti veramente di pensare a quello che stai facendo. Anche la velocità che dovevo mantenere nel lavoro mi aiutava a rimanere concentrata: ogni minuto dovevo aver vaccinato o separato un numero preciso di pulcini, e lavoravo sempre sotto la pressione dei supervisori. Ci sono stati molti momenti nei quali rimanere distaccata è stato difficilissimo, come durante scene di violenza indiscriminata o incidenti di vario tipo, episodi che capitavano spessissimo durante la giornata lavorativa. Ricordo quando dovevo raccogliere i pulcini caduti dai rulli e finiti a terra: alcuni erano morti assiderati o smembrati, altri tremavano o pigolavano sofferenti in cerca di aiuto. È stato davvero difficile reprimere l’empatia che urlava dentro di me.

“A causa del frastuono, per chiamare un collega, gli si lanciava addosso un pulcino”

Qual è l’aspetto che ti ha colpita di più?

I rumori, le luci, e gli odori fortissimi dell’incubatoio, e l’ambiente nel suo insieme, fatto di violenza, sangue e pulcini pigolanti, e dai ritmi alienanti volti a un ritmo di produzione di 300.000 pulcini al giorno. Ricordo i supervisori muoversi tra di noi esortandoci a lavorare più veloci o rimproverandoci nel caso compissimo degli errori. Il primo giorno sono rimasta scioccata dal modo di maneggiare i pulcini, che venivano manipolati come se fossero dei veri e propri oggetti inanimati, praticamente dei pupazzetti. Ma ciò che forse mi ha colpito di più è stato il rapporto dei lavoratori con i pulcini. Per fare degli esempi, l’uccisione dei pulcini era accompagnata da frasi del tipo “Almeno questi pulcini qui smettono di soffrire”, o “Come sei carino, mi dispiace tanto, ti porterei a casa se potessi” come se ci fosse tra gli operatori e i pulcini uno strano senso di vicinanza nella sofferenza. In contraddizione, ho sentito molte volte frasi totalmente aberranti come “Tu non vai bene, ciao, ciao” durante il lancio degli “scarti”, o “oh oops, morirai dissanguato” durante le vaccinazioni non andate a buon fine. Ricordo di aver pensato cosa dovesse provare un pulcino al quale veniva sparato un ago nel collo dopo essere stato sbattuto contro una macchina e poi gettato via. Ma i lavoratori erano in grado di uccidere o manipolare i pulcini con una brutalità sconvolgente e allo stesso di tempo avere piccole attenzioni per loro, quasi come effetto della consapevolezza del sistema di crudeltà del quale facevano parte.

“A volte notavo una sorta di vicinanza fra i pulcini e i lavoratori, come se fossero compagni nella sofferenza”

Dopo questa esperienza pensi ancora che fare informazione su quello che accade dietro le mura dell’industria della carne, sia utile?

Sono assolutamente convinta che fare informazione su quello che accade in posti come questo, e all’interno di ogni luogo o istituzione di sfruttamento che viene tenuto nascosto, sia utile se non fondamentale. Penso sia importante mostrare la realtà nascosta dietro alle bugie dell’industria della carne, che afferma di operare nell’eticità e nel rispetto delle norme e che, senza documentazione, non può essere smentita.
Inoltre, credo nella libertà e nel diritto fondamentale di tutti di compiere le scelte migliori secondo la propria personale coscienza ma non è possibile farlo se non si conosce ciò che avviene all’interno di strutture che non vengono volutamente mostrate. È importante lottare per i diritti degli animali e ciò può avvenire solamente tramite l’informazione.