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Bambini e verdure: ecco come aprire la “finestra dei sapori”

Chi ha figli lo sa: far mangiare le verdure ai bambini, specie ai più piccoli, può essere davvero difficile. Rifiuti, pianti e capricci bastano a far perdere le speranze anche ai genitori più determinati, con il risultato che la dieta dei più piccoli risulta spesso carente di cibi vegetali. Ma niente paura: studi scientifici hanno dimostrato che un modo per far mangiare le verdure anche ai bambini più restii esiste, bastano un po’ di impegno e la giusta dose di informazioni. Gli scienziati, infatti, ritengono che nei bambini dai 4 ai 18 mesi esista la cosiddetta “finestra dei sapori”: questo è il periodo migliore per proporre ai bimbi sapori nuovi, perché è più probabile che vengano accettati. Basta quindi sapere come aprirla per avere bambini entusiasti di mangiare frutta e verdura.

Una ricerca del 2014 dell’Università di Birmingham ha dimostrato che alcuni bambini tra i 4 e i 6 mesi d’età sono stati più propensi di altri – più grandi e più piccoli – ad accettare per la prima volta la purea di piselli, che fino ad allora non avevano mai assaggiato. Uno studio dell’anno successivo è andato oltre: reclutati 139 bambini di 6 mesi che non avevano mai assaggiato un cibo solido, è stato chiesto ai genitori di introdurli a 5 tipi diversi di verdure; a una parte di loro è stato consigliato di inserire un ortaggio al giorno, ripetendo il ciclo tre volte per un totale di 15 giorni. All’altro gruppo, invece, non è stato dato nessun consiglio su come introdurre le nuove verdure. Al 15° giorno ai bambini è stata proposta della purea di carciofi, che non rientrava nel programma delle 5 verdure. Il risultato è stato eclatante: i bambini che avevano seguito il programma di introduzione “graduale” avevano accettato volentieri il nuovo alimento, a differenza degli altri che – nella maggioranza dei casi – lo avevano rifiutato. Questo dimostra una cosa importante: proporre ai bambini cibi nuovi più e più volte nel periodo della “finestra dei sapori” li rende certamente più inclini ad accettare gusti nuovi.

Ma cosa succede se i nostri bambini hanno ormai superato questo periodo e non vogliono proprio accettare i sapori delle verdure? Niente paura, anche se chiusa, la “finestra dei sapori” può essere riaperta più o meno a qualsiasi età. Il segreto per riuscirvi è sicuramente la determinazione e – ammettiamolo – anche un bel po’ di insistenza. Gli esperti raccomandano di far assaggiare il cibo nuovo ai bambini più piccoli almeno 10 volte prima di rinunciare; per i bimbi fra i 3 e 4 anni possono essere necessari anche 20 assaggi prima che il nuovo sapore sia pienamente accettato.

E allora, come procedere? Il primo metodo suggerito dai ricercatori si chiama “piccoli gusti” e consiste nel far assaggiare al bambino una piccolissima quantità del nuovo alimento per volta, ripetendo l’operazione per più giorni consecutivi fino a quando il nuovo sapore non risulti del tutto accettato. Se ciò non dovesse funzionare, si può passare al metodo “piatto A/piatto B”: su due piatti diversi, bisogna preparare una porzione di un alimento molto gradito al bambino e una porzione di una verdura mai assaggiata; a questo punto non resta che far alternare al bimbo gli assaggi dai due piatti, in modo che associ il sapore della verdura a quello del suo cibo preferito. Se anche questo non dovesse funzionare c’è sempre il metodo della “corruzione”, che per gli esperti deve rappresentare davvero l’ultima spiaggia, da prendere in considerazione solo nel caso in cui gli altri due siano falliti dopo numerosi tentativi. L’importante è non promettere mai del cibo in cambio dell’assaggio della verdura – questo potrebbe portare a un approccio sbagliato nei confronti dell’alimentazione – ma piuttosto degli adesivi o dei piccoli oggetti-ricompense da promettere al bambino una volta che abbia mangiato discrete quantità del nuovo alimento.

E se proprio non dovesse funzionare? Uno studio della University College di Londra ha dimostrato che il gradimento di frutta, verdura e carboidrati è in parte determinato dai geni e in parte dall’ambiente in cui i bambini vengono cresciuti. In questo caso potreste sempre dare la colpa alla genetica.

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