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Allevamenti intensivi, nuovi dati Ispra: inquinano più di macchine e moto

Gli allevamenti intensivi inquinano di più di auto e moto, producendo il 50% delle emissioni a effetto serra: ad affermarlo è uno studio relativo al 2016 condotto recentemente dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che fornendo un quadro completo della situazione ha stravolto i dati di riferimento utilizzati finora, adesso considerati incompleti e parziali. Secondo la ricerca in questione, gli allevamenti sono – dopo il riscaldamento delle abitazioni e a uso commerciale –  la seconda causa di inquinamento nel nostro paese, ancora prima dell’industria e dei mezzi di trasporto.

I dati, forniti in anteprima da Dataroom di Milena Gabanelli, riguardano l’analisi del particolato, noto anche come PM (dall’inglese Particulate Matter), ovvero l’insieme di polveri e sostanze sospese nell’aria – tra le quali anche fibre, metalli e inquinanti di vario tipo – che finiscono nell’atmosfera naturalmente o come conseguenza delle attività umane. Del particolato si analizza anche la dimensione delle particelle, così da arrivare a parlare di PM 10 – con particelle dal diametro inferiore a 10 micrometri, le più pericolose – e di PM 2,5, con particelle con dimensioni inferiori a 2,5 micrometri. È proprio analizzando le concentrazioni di PM 2,5 che sono emersi i dati più allarmanti: si tratta della frazione più leggera, che rimane sospesa nell’aria più a lungo e che per questo respiriamo maggiormente, aumentando il rischio di patologie anche gravi come asma, bronchiti, enfisema ma anche tumori e problemi cardio-circolatori.

Particolato primario e secondario: le “colpe” degli allevamenti intensivi

La novità dello studio condotto dall’Ispra sta nell’aver analizzato per la prima volta insieme il particolato primario e quello secondario, cambiando completamente la lettura dei dati effettuata finora. “Il particolato primario – spiega Dataroom – è quello direttamente emesso dalle sorgenti inquinanti (ad esempio dai tubi di scappamento delle auto): il 59% è dovuto al riscaldamento, il 18% alle auto, il 15% all’industria, mentre il contributo degli allevamenti intensivi è irrisorio (l’1,7% di PM 2,5). Ma questa è una fotografia parziale della realtà. Le polveri, infatti, si formano anche in atmosfera a causa dei processi chimico-fisici che coinvolgono le particelle già presenti. In questi casi si parla di particolato secondario e le percentuali cambiano”. In questo caso, infatti, vediamo come il contributo degli allevamenti intensivi diventi predominante, passando dall’1,7% al 15,1% e diventando la seconda fonte di inquinamento totale da polveri dopo il riscaldamento (nella foto in basso).

Crediti foto: www.corriere.it

“Il PM 10 e ancora di più il PM 2,5 – afferma Vanes Poluzzi, dell’Arpa dell’Emilia Romagna, che si occupa di vigilanza e controllo in materia ambientale – sono composti per una percentuale rilevante da particelle di natura secondaria che si formano in atmosfera a partire da ossidi di azoto e zolfo, ammoniaca e composti organici volatili. Tale contributo secondario tende tra l’altro ad aumentare in caso di condizioni meteorologiche di stabilità atmosferica, quando si raggiungono i massimi livelli di inquinamento”.

Allevamenti intensivi: una piaga per il nostro pianeta

La questione riguarda gli allevamenti intensivi perché sono i principali responsabili di emissione di ammoniaca nell’aria, a sua volta fonte principale di particolato secondario. Il dato allarmante, inoltre, riguarda anche l’analisi nel corso del tempo: tornando indietro di qualche anno si scopre infatti che mentre in 16 anni è diminuito l’inquinamento atmosferico legato al trasporto su strada, alla produzione energetica e all’agricoltura, è invece aumentato quello legato agli allevamenti passando dal 10,2% al 15,1%.

Oltre al problema legato all’inquinamento atmosferico, gli allevamenti intensivi risultano un disastro globale su più fronti: al di là della questione etica – che porta ogni anno 70 miliardi di animali a essere allevati in maniera intensiva – non si può dimenticare lo spreco di risorse idriche, la distruzione delle foreste per fare spazio agli allevamenti e l’impatto devastante sulla salute umana, legato al fenomeno dell’antibiotico resistenza.